CASO DI ALICE PASQUINI, STREET ARTIST CONOSCIUTA COME ALICè

Multata Alicè 800 euro per aver “imbrattato”

Lo sconforto dell’artista “Io combatto il degrado così l’arte diventa reato”

«COME dire che ogni espressione artistica è un reato». Al telefono Alicè risponde con tono fra l’ironico e il malinconico. Ha appena saputo dal suo avvocato che il giudice Gabriella Castore l’ha ritenuta colpevole di «imbrattamento» per aver dipinto alcuni muri della città, e l’ha condannata a pagare ottocento euro di multa. «Sono amareggiata, la galleria Saatchi di Londra, ha appena esposto miei lavori. Ci sono mie opere in aste e musei di cinquanta paesi.

Io sono sempre la stessa, quando lavoro su commissione e quando dipingo in strada, quindi decidetevi: sono un’artista o una devastatrice?». Be’, su questo Bologna ha le idee un po’ confuse.

Mentre un’istituzione culturale prepara la grande mostra dei graffiti murali (forzosamente appropriati), un tribunale condanna lei, al secolo Alice Pasquini, 35 anni, scenografa, disegnatrice di “arte pubblica” di fama internazionale. «Il mio avvocato farà appello, ovviamente. Ho evitato finora di commentare la vicenda, un po’ per rispetto verso i giudici, un po’ perché francamente speravo che venisse riconosciuto il valore di quel che ho fatto». Il pm aveva chiesto l’assoluzione.

DA Bangkok a New York, da Saigon a Roma, Alicè firma le sue opere, quelle legali come quelle di strada. Come molti suoi confratelli d’arte, Alicè gioca a viso scoperto.

All’opposto dei “taggatori” compulsivi, marcatori canini del territorio che firmerebbero a spray anche la Pietà di Michelangelo, sceglie con cura gli spazi su cui esercitare quella che non è altro che una pratica guerrigliera della bellezza contro il degrado visuale. «Credo d’aver aggiunto valore a Bologna. Non dipingerei mai su un muro bianco, meno che mai su un monumento. Non lavoro con spirito di devastazione, ma con amore nei confronti dei luoghi. Chiunque può verificare, ho scelto spazi di piccole dimensioni su pareti già devastate, in luoghi visualmente degradati».

Portoni, muri della zona universitaria e in via del Pratello, una pensilina del bus in Bolognina.

Fu lei stessa a rivelare in un’intervista come e dove era intervenuta, semplificando parecchio il lavoro dei vigili urbani che due anni fa andarono, trovarono, fotografarono e denunciarono.

«Bellissimi volti femminili», disse il pm Giovannini, che pare sia anche un appassionato d’arte, «ma le forze dell’ordine non possono fare distinzioni fra illegalità belle e brutte». Forse no, ma quel che fa un graffitista è proprio questo, sollevare una contraddizione, costringere un potere pubblico a domandarsi se quel che sta reprimendo come imbrattatura non abbia più valore di quello che del tutto legalmente imbratta il nostro paesaggio urbano: le pubblicità gigantesche, aggressive, che s’aggrappano perfino ai monumenti, e poi il degrado “istituzionale” degli arredi urbani fatiscenti, della segnaletica messa a capocchia, della corona di lamiere targate che ottunde qualsiasi prospettiva della città storica. Vicino a un graffito, in via Zamboni, qualcuno aveva scritto «art is not a crime».

MICHELE SMARGIASSI, LA REPUBBLICA

Graffiti d’arte sui muri AliCè condannata

IL TRIBUNALE ha condannato per imbrattamento a 800 euro di multa la street artist romana Alice Pasquini, in arte AliCè. La sentenza è stata pronunciata dal giudice monocratico Gabriella Castore: era stata denunciata dalla polizia municipale e poi è finita a processo per avere realizzato alcune delle sue opere sui muri della città. La denuncia risale a ottobre 2013 e il provvedimento, nei giorni successivi alla notizia, aveva fatto molto discutere. Fu organizzata anche una manifestazione in sua solidarietà, con tanto di performance artistica sulla staccionata che delimitava il cantiere sotto le Due Torri. «Penso di aver contribuito a valorizzare la città e non a imbrattarla, soprattutto perché le opere sono state realizzate in aree degradate – ha commentato AliCè dopo la sentenza -. Oggi invece è stato sancito il principio per cui qualsiasi espressione artistica è reato. Sono molto delusa». L’artista aveva disegnato cinque delle sue inconfondibili figure femminili su muri, un portone e una pensilina in via Centotrecento, via Mascarella, via Zamboni, via del Pratello e in Bolognina, poi lo aveva rivelato in un’intervista. Proprio grazie a quella ‘confessione’ pubblica i vigili avevano rintracciato le opere e denunciato la disegnatrice. AliCé ieri non era presente in aula e il suo difensore, avvocato Stefania Martelli, ha detto che la sentenza «verrà sicuramente appellata». Il pubblico ministero, nella precedente udienza, aveva chiesto l’assoluzione.

IL RESTO DEL CARLINO

Condannata Alicè la writer premiata in mezzo mondo «Non è giustizia»

Pluripremiata e acclamata in mezzo mondo per la sua arte ma condannata a Bologna per imbrattamento. Farà discutere la sentenza emessa ieri dalla giudice Gabriella Castore nei confronti di Alice Pasquini, in arte Alicè, la writer 36enne denunciata nel 2013 dalla municipale per i ritratti disegnati sui portoni di via Mascarella e Zamboni e sui muri scrostati di via Centotrecento e al Pratello. La Procura aveva emesso un decreto penale di condanna contro cui la street artist, assistita dall’avvocato Stefania Martelli, si è opposta. Di qui il processo che si è concluso con 800 euro di multa nonostante il pm avesse chiesto l’assoluzione riconoscendo che i muri erano malridotti. La difesa farà appello: «Ho evitato finora di parlare avendo fiducia che venisse riconosciuta l’infondatezza dell’accusa – dice l’artista -. Sono molto delusa, penso di aver contribuito a valorizzare la città e non ad imbrattarla, visto che le opere sono state realizzate in aree degradate. Si è sancito il principio per cui ogni espressione artistica è reato. La street art è commissionata in migliaia di luoghi e il Comune sembra voglia ospitare le opere di strada in un museo. Allora perché condannare me, nonostante il parere contrario del pm? Sono pronta a far valere le mie ragioni in appello».

CORRIERE DI BOLOGNA

ARTICOLI DEL 16 FEBBRAIO 2016

I writer e la multa a AliCè “Mai farsi beccare”

I writer e la multa a AliCè “Mai farsi beccare”A PAGINA XIII «Penso di aver contribuito a valorizzare la città e non ad imbrattarla, soprattutto perché le opere sono state realizzate in aree degradate. Lo stesso Comune di Bologna sembra che voglia ospitare le opere di strada in un museo. E allora, perché condannare me?». La domanda se l’è fatta lunedì sera su Facebook Alice Pasquini, in arte AliCè, e da ieri rimbalza in tutta la città, insieme alla notizia della multa da 800 euro alla quale è stata condannata per imbrattamento. Oggi se ne parlerà anche all’Università, in un incontro organizzato dal Cua in via Zamboni 38, al quale sono stati invitati due artisti di strada milanesi. E se a Palazzo Fava – dove inaugurerà il 17 marzo la mostra dedicata anche alla street art bolognese – si chiudono a riccio, a parlare sono i writers. Mentre l’assessore alla cultura Davide Conte prova a tenere tutto insieme: «Le regole bisogna rispettarle, ma possiamo riscriverle insieme. Sarei felice di incontrare AliCè». Sull’operazione di Genius Bononiae però storce il naso: «Ogni tanto – racconta – vado a vedere sul sito di Blu i suo video. Sono straordinari: i graffiti li produce e li cancella di continuo. Io penso che esista un dato effimero indissolubile legato alla street art. Rispetto alla mostra voglio solo dire che noi come Comune di Bologna abbiamo scelto un’altra strada: quella di Frontier e Cheap». Musei sì, ma a cielo aperto, realizzati in strada.

«Più che di schizofrenia a me sembra di vedere molta coerenza – ragiona Flavia Tommasini del collettivo Cheap, che da tre anni fa rivivere spazi pubblicitari abbandonati e muri con le sue installazioni di carta – La multa ad una writer e l’idea di staccare dei pezzi graffiti e metterli in un museo sono i due lati della stessa medaglia: l’espressione di una città che reprime, musealizza e trae profitto. Mi sembra il tentativo di normalizzare quello che qualcuno considera bello, legalizzare solo dove serve e reprimere il resto. Ma il punto è che, nel caso della street art, non esiste l’uno senza l’altro». Monica Cuoghi, anche lei a processo per imbrattamento («ma non amo parlarne») critica la “collega”: «Gli artisti devono sapere che fanno una cosa illegale. Fa parte del gioco, anzi secondo me è anche il bello.

Quando disegno in strada io ho uno stile diverso, più veloce, che cerco di ricreare quando disegno in altri luoghi, inseguo quell’impulso».

Lo farà anche nella mostra di Palazzo Fava, alla quale parteciperà con un’opera realizzata per l’occasione. Come Dado, che del caso AliCè dice: «Per Alice mi dispiace, ma ci vuole un po’ di furbizia, è sempre meglio usare l’anonimato, oppure una doppia tag». Finire al museo non lo spaventa: «Ero preoccupato, ma adesso ho capito che questa mostra servirà a tutelare delle opere in distruzione». E mentre tutti aspettano un segnale da Blu («Farà un disegno? Apparirà? Cosa dirà?», si chiede Dado) alla Galleria Squadro alzano le spalle: «Dalla Digos ai musei».

ARTICOLO DI CATERINA GIUSBERTI DEL 17 FEBBRAIO 2016, LA REPUBBLICA

 

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