Una questione di (buon) gusto

Degrado urbano e desiderio di eternità

Graffiti: arte o vandalismo?

Graffiti: arte o vandalismo?

17 APR 2016

A molti dei graffitari le città imbrattate sembrano belle, ci vivono volentieri. Il che rende la questione ancora più complicata.

Che ai graffitari piaccia imbrattare è lampante, che il loro desiderio di eternità, elevato all’ennesima potenza, sia del tipo che fa incidere cuori infranti sulle cortecce e sulle statue, così piangono pure gli alberi, i marmi e mal comune mezzo gaudio, fosse molto accentuato, anche. Poi naturalmente ci sono tutte le materie di indagine di decine di università riunite: il disagio sociale, la mancanza di prospettive, l’emarginazione, le famiglie che non danno risposte, cioè quasi tutte, i troppi insegnanti che insegnano solo la propria frustrazione, l’integrazione difficile, la tragedia delle periferie, la perdizione innata di alcuni. Tutti fattori che non perdono importanza né vanno in prescrizione solo perché sono risaputi ed è noioso rielencarli. Ma che il godimento nel rimirare le proprie opere notturne fosse estetico e non trasgressivo da vandalo “impegnato” o da vandalo tout court rende davvero la questione ancora più complicata.

Il sospetto era già venuto nel vedere le stanze da letto dei graffitari a casa di mamma e papà, molti infatti hanno meno di venticinque anni e vivono con i genitori: pareti e mobili ricoperte di scritte, tag (la firma dell’autore), slogan e ghirigori, ma uno di loro H.K., attivo da tempo a Firenze, ben conosciuto dalle forze dell’ordine e colto sul fatto, eppure sempre a piede e bomboletta spray liberi, nonostante straziare di vernice la città sia un reato, parla e conferma: “Siamo decoratori, amiamo il colore. Il problema è vostro, se avete gusti diversi”. De gustibus non est disputandum.

Infatti non è disputandum e il problema è nostro perché siamo costretti a sciropparci le manate di vernice sulle ringhiere, gli scarabocchi sui muri, sulle saracinesche e sui monumenti, a subire terremoti della nostra identità culturale che attinge di continuo alla bellezza nella quale siamo nati, una bellezza che per un italiano è fondante.

Certo l’aggettivo culturale è un po’ desueto laddove si governa. “La classe politica italiana non è molto acculturata – spiega deciso e amabile, come da cognome, Andrea Amato, presidente di Associazione nazionale antigraffiti Retake Milano che è guardata da tutta Italia come un esempio positivo di concepire il territorio, anche se a Roma, sennò che capitale sarebbe, il gruppo di volontari è il più folto del Paese -. E senza la cultura non è comprensibile quello che facciamo”. L’amministratore comunale pensa il “ripulitore” un concorrente e si chiede smarrito: cerca consensi? Vorrà fare il politico? Mi soffierà la poltrona (peraltro spesso imbrattata dalla pittura trasparente dell’incapacità e della slealtà)? Amato racconta anche lo stupore del passante che li guarda e si domanda: a questi chi glielo fa fare?

Glielo fa fare l’idea che la strada sia un’abitazione collettiva, glielo fa fare la convinzione “che degrado chiama degrado, che reagire serve, che pulire serve”. Amato spiega che “Retake è apolitica, crede nel principio di sussidiarietà e chiede che l’amministrazione comunale si metta a disposizione del cittadino se questo vuole fare qualcosa. Noi siamo cittadini normali, l’importante sarebbe che tutti i cittadini normali si rendessero conto di quello che abbiamo, non solo come patrimonio artistico. Ci sono anche i parchi, le scuole, le stazioni del metrò, le pensiline degli autobus. E le prigioni. Retake ha progetti perfino per la riqualificazione del carcere di San Vittore, “è in centro a Milano, non si può fare finta che non esista”. A proposito di galera: imbrattare è un reato, articolo 639 del Codice Penale. Sono previste ammende e reclusione fino a un anno nei casi più gravi. Previste.

I volontari sono instancabili, c’è perfino una formidabile nonna dai capelli rossi che porta sul campo le nipotine, una specie di Libertà che guida il popolo in tuta da lavoro che alleva le pasionarie di domani, e certo non sono maniaci della casalinghitudine su vasta scala, ma persone ben consapevoli dell’importanza di contrastare un fenomeno che è dannoso per i conti e la salute pubblica. Pulire un metro di muro costa 15 euro, ripulire l’Italia ogni anno costa 800 milioni di euro e i graffitari usano anche un acido cancerogeno mentre gli anti-graffitari stanno utilizzando una vernice che purifica l’aria, usata all’estero negli ospedali. “L’unico elemento che ci vuole per diventare un volontario è l’amore per la propria terra dalla Sicilia al Trentino Alto Adige. Ed io sono molto soddisfatto di incasellare tutte queste positive energie nella casella giusta”.

Affinché non ci siano equivoci Amato chiarisce che la Street Art non c’entra niente con il vandalismo e che nessuno vuole soffocare l’estro: “Se esiste l’autorizzazione, si possono dipingere tutti i muri del mondo, senza nascondersi”. Allora, forse, si potrebbe parlare di gusti. E, soprattutto, evitare che un treno falci un ragazzo. Accade. L’ultima volta è accaduto la sera del 13 aprile, scalo ferroviario di Greco Pirelli, Milano.

Francesca Joppolo

Ha studiato Storia dell’Arte all’Università di Firenze con il professor Roberto Salvini ed è giornalista professionista.

Articolo pubblicato sul Wall Street International il 17 aprile 2016

http://wsimag.com/it/arte/20078-una-questione-di-buon-gusto

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2 Responses to Una questione di (buon) gusto

  1. Margherita Rispondi

    19 aprile 2016 at 05:21

    Lei scrive giustamente che: “gli italiani sono costretti a subire terremoti della nostra identità culturale che attinge di continuo alla bellezza nella quale siamo nati, una bellezza che per un italiano è fondante” e ogni sua parola è una porta spalancata sulla realtà dell’Italia, del dolore, quasi fisico, che provano le persone sensibili allo veder spregiata la bellezza.
    Gli studi non mancano certo e fiumi di parole sono servite a molti comunicatori, spesso privi di onestà intellettuale, per giocare a rimpiattino e scatenare guerre virtuali e idiote, pro o contro i graffitari, (lanciando parole da una tastiera poggiata su una comoda scrivania), limitandosi a osservare il dito che indica la luna, tra l’esaltazione della macchia di colore e la deprecazione totale dell’appropriarsi di tutto coprendolo con vernice. Molto si parla di leggi e poco si applicano. E’ verissimo, perché prevale l’dea che “siccome sono troppi i reati da contrastare, in Italia le priorità diventano altre”.
    Siamo stati costretti per ragioni di gravissimo degrado politico ad alterare perfino il valore dato alle parole, credo per non impazzire. Per cui egoismo e appropriazione indebita non sono più percepite con il peso specifico di trent’anni fa. I nati nell’80 sono cresciuti fra la conoscenza di verità crudeli e paralisi del sistema e contrasto continuo della macchina che fa marciare la giustizia. Così, come quelli che subiscono violenza in famiglia e poi si convincono che quello sia l’unico modo di concepire la famiglia (e da adulti perpetuano le nefandezza), allo stesso modo, questa generazione ripete ciò che osserva: egoismo e appropriazione indebita.
    Grazie ai volontari antidegrado sono loro il vero simbolo di ribellione, non alle scritte, ma al degrado mortale che ci sta soffocando tutti
    Margherita

  2. Mauro D'Ambrosio Rispondi

    19 aprile 2016 at 21:41

    Al di là della funzione preziosissima dei volontari -di cui faccio parte- devo dire che c’è una sottovalutazione del problema anche da parte di molti magistrati. Da noi a Campobasso è stato preso un imbrattatore seriale che ha siglato edifici, saracinesche, si è persino arrampicato a molti metri di palazzi dismessi. Ora è di nuovo a piede libero, ed è tornato a colpire. Da cosa deriva tutto ciò? Dall’impunità istituzionalizzata. I poveri esponenti delle forze dell’ordine, che hanno un questore con la Q maiuscola a Campobasso, erano molto soddisfatti dell’arresto, ma poi gli sono caduti le braccia quando hanno trovato il blando giudice di turno che ha santificato l’illegalità ed il degrado con la sua insulsa sentenza. Siamo messi così, in questa piccola (culturalmente ed eticamente) Italia.

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