BOLOGNA
«Quelle opere sono fatte per svanire, nascono e muoiono con il messaggio che intendono mandare. “Strapparle” e collocarle fuori dal contesto dove sono state realizzate equivale a uccidere la loro identità». Il bolognese Alessandro Ferri, in arte Dado, tra i writer italiani più quotati, guarda con diffidenza al progetto di recupero e conservazione dei murales di pregio sparsi per la città voluto dal presidente di Genus Bononiae, Fabio Roversi Monaco. Cos’è che la lascia perplesso? «Stiamo parlando di opere di artisti in vita a cui nessuno ha chiesto il permesso o un parere. Mi sembra un’operazione discutibile e a forte rischio speculazione. Parliamo di opere che sono state concepite per “esistere” in quei luoghi e solo lì. Sono effimere per definizione, estemporanee, chi le ha realizzate voleva mandare un messaggio destinato a svanire col tempo. Staccarle e portarle altrove significa azzerare la poetica che le contraddistingue». Diversamente sarebbero destinate a sparire, con questo progetto si tenta di conservarle per la collettività. «Roversi Monaco ha fatto cose eccezionali per la città ma stavolta non sono d’accordo. Quelle opere hanno l’obiettivo di comparire e svanire, sono come un suono. Faccio un esempio: una volta che Blu ti ha fatto capire che l’inquinamento divora le città, non te lo dice più e non c’è motivo per cristallizzare quel messaggio. Senza contare che se metti quei “pezzi” sotto vetroresina te ne appropri e diventa la tua opera, non più quella dell’artista». Cosa si sarebbe dovuto fare? «Anzitutto coinvolgere e interpellare gli artisti. Il fatto che alcuni tra i più quotati, come Blu, siano introvabili è una leggenda. Penso invece che avrebbero opposto un no secco, proprio per le ragioni che ho esposto prima. Sono favorevole al recupero e al restauro ma solo se c’è la volontà che quell’opera resti. In questo modo invece si interviene sul processo creativo, ci si appropria di qualcosa e si snatura l’idea stessa che ha spinto gli artisti a scegliere quel luogo e quel disegno. Non lo trovo corretto, anzi mi insospettisce». Vale a dire? «Curiosamente sono andati a prendere i lavori che hanno più valore. Voglio credere alla buona fede ma resta il problema di fondo di un’operazione che si pone in contrasto con la volontà degli artisti. C’è troppo interesse intorno a questa materia, ci sono troppe persone che hanno voce in capitolo a partire da certi critici. L’esperienza di Frontier (un progetto istituzionale dedicato alla street art, ndr) è diventata qualcos’altro e l’ho persa definitivamente di mano. La pensano così molti artisti che a Bologna infatti non mettono più piede».
ARTICOLO DEL CORRIERE DI BOLOGNA DI GIANLUCA ROTONDI DEL 27 DICEMBRE 2015
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