Appena 50mila euro per ripulire la città

Roma

Decimati i finanziamenti per il decoro pubblico Ridipingere i muri costa un euro al metro quadro Pulizie impossibili I fondi destinati al servizio ridotti di ben 6 volte in due anni

Pulire i graffiti dei “writers” dai muri di Roma costa al Comune 50.000 euro l’anno. Possono sembrare pochi, ed è vero, perché in realtà questi fondi bastano appena per gli interventi di emergenza e qualche pulizia straordinaria. Nel 2015, infatti, la Giunta guidata da Ignazio Marino ha demansionato un servizio, quello dell’Ufficio Decoro del Dipartimento Ambiente, che aveva in dotazione fino al 2014 ben 1,9 milioni di euro, di cui circa 300.000 l’anno se ne spendevano per la rimozione delle scritte. Basti tener conto che fino all’anno precedente, il Campidoglio metteva in campo regolari campagne di rimozione dei graffiti, che portavano ad eliminare in 12 mesi circa 250.000 metri quadri di scritte (l’equivalente di 36 campi di calcio), di cui circa 70.000 se ne toglievano solo in centro storico, per una spesa media, appunto, di 300.000 euro. Facendo dei rapidi conti, il costo medio per ogni metro quadro rimosso è di 1,2 euro: se può sembrare elevato, va considerato che in alcuni casi si lavora su superfici complesse dove non basta la classica “rimbiancata”. Cosa succede oggi? I fondi a disposizione degli uffici comunali sono ridotti e si tende a privilegiare l’intervento urgente, come nei casi di scritte offensive verso istituzioni o religioni, frasi a sfondo razziale o di cattivo gusto. Ci sono poi situazioni di “opportunità”, come il murale rimosso a Borgo Pio che raffigurava Papa Francesco intento a giocare a tris: non era certo offensivo, ma probabilmente non è stato ritenuto opportuno mantenerlo in una zona al confine con lo Stato Vaticano. Gli interventi vengono coordinati dai Pics, il nucleo speciale della Polizia Locale per il decoro urbano, che incarica poi l’Ama della rimozione materiale dei graffiti. Da anni i Pics lavorano in collaborazione con Retake Roma, associazione di volontari che contribuisce a costo zero a riportare pulizia nei quartieri. Nessun segnale, invece, sul fronte della prevenzione: l’ex sindaco Ignazio Marino dichiarò pubblicamente di voler «organizzare per i writers vere e proprie trappole, in modo da poterli cogliere sul fatto, processarli per direttissima e metterne alcuni in sicurezza, a Rebibbia». Parole sue. Alti costi anche sul fronte dei graffitari ferroviari: in un anno, dal 1 settembre 2015 al 31 agosto 2016, il costo dei danni diretti comunicato da Trenitalia è pari a a circa 532 mila euro, su 80.864 metri quadrati di graffiti rimossi. Non ci sono invece i dati della spesa sostenuta da Atac, comunque ingente.

Vincenzo Bisbiglia

Street art e demenza

Al Tempo siamo abituati a raccontarvi Roma in tutte le sue prospettive nella speranza di accendere ogni volta un faro sul buio pesto della macchina ammninistrativa capitolina. Oggi vi facciamo vedere la città imbrattata, deturpata, lordata dai writers. Sappiamo che esiste un vecchio duello dicotomico, se i graffiti siano arte oppure no, e un rovello sul «fino a che punto» può spingersi l’habitué della bomboletta per non diventare un teppista del colore. Per noi, e speriamo per voi, il confine è tracciato: i graffiti non sono arte se feriscono una coerenza architettonica e storica. Non lo sono se mettono un autografo nel degrado già esistente. Sono arte per modo dire quando non hanno senso al di là di certe elucubrazioni personali di chi li traccia, quando sono scarabocchi o penosi arzigogoli lessicali. Insomma, sono arte quasi mai, e quasi mai toccano anche solo di striscio gli schizzi tratteggiati dal Dio Bansky portato a Roma dal mecenate Emanuele a cui si deve anche la riqualificazione di Tor Marancia con la vera street art sulle pareti della borgata. I graffiti «abusivi» sporcano ciò che è di tutti, insozzano una Capitale già sporca di suo, demoralizzano chi vi abita e chi vi sverna per turismo. L’Amministrazione non concepisce però la gravità della situazione tanto che destina allo scopo sempre meno soldi (quest’anno appena 50mila euro). E se nella città della Grande Bellezza lasciamo che questa meraviglia venga stuprata impunemente con ghirigori e segnacci vuol dire che non siamo degni del regalo ricevuto – intonso dai nostri avi, i quali dopo avercelo preservato da incendi, invasioni e carestie rischiano oggi di perderlo. Per ignavia. Per sempre.

Gian Marco Chiocci

«Io, graffitaro impunito sui muri di Roma»

Abbiamo seguito un noto writer in una delle sue scorribande notturne «Colpiti» treni, chiese e monumenti. Storia di una moda senza quartiere «Guerra» tra bande Sono divisi in gang rivali e si contendono il territorio A volto coperto Cappuccio, cappello e sciarpa per diventare un «fantasma»

Occhiali da sole scuri, sciarpa grigia per coprire naso e bocca, felpa nera con il cappuccio ben calato sulla fronte, zaino carico bombolette spray di ogni colore. È la divisa d’ordinanza del nostro writer pronto a uscire per le strade di Roma con la missione di marcare le pareti della Città con la sua “tag” (firma), “spruzzandola” in quanti più luoghi possibile. Il Tempo lo ha seguito durante le sue scorribande serali per capire perché il fenomeno del graffitismo illegale sia una pratica così diffusa nella Capitale e quali sono gli stratagemmi escogitati per tornare a casa senza una multa o, peggio, una denuncia per atti vandalici. Partiamo dalla vestizione, primo e fondamentale passo affinché poi tutto fili liscio. Per il writer è una sorta di liturgia, un momento solenne: la cura maniacale con cui il nostro uomo si sistema sul viso la sciarpa, il cappuccio e gli occhiali e l’attenzione con cui sistema nello zaino le bombolette ci ricorda per un attimo la solennità delle vestizioni di qualche supereroe. L’operazione è svolta con tanta attenzione perché il volto deve essere completamente coperto, irriconoscibile sia per le forze dell’ordine che per le tante telecamere disseminate in città. «Non puoi lasciare tracce, devi diventare un uomo senza identità», spiega, proprio come fosse un supereroe, ma un supereroe al contrario. Ora è tutto pronto per uscire in cerca di pareti da “spruzzare”. I luoghi da marcare vengono scelti in base a diversi criteri: visibilità, se l’intento è quello di mostrare a quante più persone possibile il proprio nome; difficoltà dell’impresa, se quello che si cerca è un’esperienza adrenalinica, come nel caso dei treni; predominanza su un territorio, se l’obiettivo è rivendicare una data zona della città contro una “crew” (termine gergale che sta per banda, gruppo, a cui la maggior parte dei writers appartiene) avversaria. Al Parco degli Acquedotti il “nostro” graffitaro sembra determinato a intervenire proprio sugli antichi resti dell’Acquedotto Felice. «Praticamente tutti i graffitari sono contrari a disegnare su monumenti storici – dice -, quasi avessero un codice d’onore per queste cose. Ma io no. Perché sono convinto che quello che faccio non deturpi un bel niente. E poi qui passa tanta gente che potrebbe vedere il mio lavoro». In effetti di gente ce n’è molta, tra chi fa una passeggiata e chi una corsa, ma nessuno dice nulla, e così il writer potrebbe terminare la sua tag nell’indifferenza più totale. Tolta la sciarpa e calato il cappuccio, riparte in cerca di altri muri. Dopo qualche minuto si ferma nei dintorni di piazza Lodi: «Siamo qui perché ci sono alcune tag di una crew rivale da coprire – spiega mentre si sistema la sciarpa sul naso – Non puoi abbassare la guardia, i tuoi territori vanno controllati e, se necessario, rivendicati». La sera è ormai calata e un gruppetto di persone uscito dal portone di un palazzo si accorge di lui: il tempo di una sbirciatina incuriosita e vanno via. Nessuno sembra interessato a come, da un momento all’altro, potrebbe ridurre quei muri. Prossima vittima “illustre” del graffitaro un muro della Chiesa di Santa Bibiana, in via Giolitti. Forse lui non sa che si tratta della prima opera architettonica del Bernini e che alcuni anni fa è stato necessario un ritocco estetico proprio a causa dei danni subiti per mano di writers e graffitari . Un restauro inutile, ben inteso, visto che è stata già ricoperta di scritte e disegni. Ma anche lui vuole lasciare il segno sulla chiesa, e inizia ad agitare la bomboletta…. Un passante si lascia sfuggire una battuta: «Attento che esce il prete!». «Figuriamoci», ribatte lui, abituato a fare ciò che vuole, dove vuole. Per le forze dell’ordine sono azioni difficili da prevenire, ed è un’impresa sorprenderli con la bomboletta in pugno, davanti a un muro imbrattato di vernice fresca. Il graffitaro è convinto di non avere limiti. Così, calato di nuovo il cappuccio, scavalca una recinzione e scende sui binari. Li seguirà fin quando troverà un treno in manutenzione da imbrattare. Il viaggio con lui, per noi de Il Tempo, finisce qui. Che siano semplici scritte, simboli, oppure opere d’arte, non importa. Per le regole del buon vivere civile, è solo vandalismo.

«Dipingo sui treni Ma solo per la fama»

Writer da 20 anni, racconta la sua vita di «artista fuorilegge»

«Nel writing di arte ce n’è poca. È più un modo di affermare se stessi e farsi conoscere, sia nell’ambiente del graffitismo che fuori». Mister M., writer della prima ora, preferisce rimanere anonimo. Ha realizzato decine di graffiti illegali in tutta Italia. Da quanto tempo sei un writer e dove preferisci dipingere? «Sono in attività dal 1996, da vent’anni. Dipingo principalmente treni, in special modo quelli regionali, che sono diversi in base alla regione d’appartenenza. Diciamo che li colleziono» È cosciente del fatto che tutto questo è pericoloso e fuori da ogni regola? «Certo che lo è, visto che bisogna intrufolarsi in stazioni e depositi spesso sorvegliati. E lo metto in conto. Va detto però che in Italia la sicurezza è più facile da “bucare” rispetto ai paesi del Nord Europa, dove la tecnologia di sorveglianza è più avanzata». Il writing, in particolare, è strettamente connesso all’illegalità… «Non sono d’accordo. Non c’è un confine netto: il bello dei graffiti è che ognuno se li vive come vuole, anche legalmente, perché no. Le scelte sono soggettive, come in tutto il resto» Ricondurre il writing a una pratica legale, e cioè “spruzzare” pareti messe a disposizione dalle amministrazioni, non ne svilisce la natura “ribelle”? «Affatto. Il graffitismo non è per forza connesso alla protesta sociale, si può disegnare anche per il semplice piacere di farlo». Allora perché farlo illegalmente? La fama, ad esempio, c’entra qualcosa? «Il writing è quasi esclusivamente ricerca della fama, voglia di farsi conoscere e imporsi sugli altri writers. Diciamo che il 95% di esso è egocentrismo puro e il restante 5% è arte. Io ad esempio dipingo treni proprio perché in questo modo il mio nome può viaggiare per l’Italia». Quei treni sono di tutti, degli italiani, imbrattandoli non ritiene di arrogarsi un diritto che non ha? «Il fatto che il sistema dei trasporti pubblici sia un “magna magna”, in un certo senso mi “tranquillizza”». Ci sono dei luoghi per voi “intoccabili”? «Non c’è un codice scritto, ma ci deve essere buon senso nel capire fin dove si può arrivare. Roma è la Città più bella del mondo e chi sfregia un monumento storico non è degno di essere chiamato writer».

Alessio Buzzelli

IL TEMPO del 21 Ottobre

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2 Responses to Appena 50mila euro per ripulire la città

  1. Davide Rispondi

    28 ottobre 2016 at 14:50

    Ma davvero ci si stupisce ancora leggendo questi articoli? Informatevi sulle decisioni di quei quattro scalzacani di giudici quanto ne riescono a beccare uno (raramente). Troverete la risposta. E poi mi viene da ridire, Roma , come Milano e’ strapiena di telecamere, se volessero li andrebbero a prendere ad uno ad uno. Altro che “Belpaese”…

  2. giuseppe gambetti Rispondi

    28 ottobre 2016 at 18:30

    Roma fa schifo grazie a questa gente e io non ci torno neanche più a fare il turista. Rimangano lì con i loro imbrattatori, e se continua così tra un po’ saranno con le pezze ai pantaloni e pieni solo di balordi. Albergatori e ristoratori chiudano pure baracca e burattini.

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