NYPD: l’altro volto della giustizia contro le devianze tipiche di uno stato. Un nuovo modo per combattere criminalità giovanile e graffiti

Giovanni Confalonieri
A lezione dagli americani

NYPD: l’altro volto della giustizia contro le devianze tipiche di uno stato.
Un nuovo modo per combattere criminalità giovanile e graffiti
tratto da “noi polizia”, l’organo ufficiale dell’associazione poliziotti italiani.

“Ci fu un periodo in cui era quasi normale udire raffiche improvvise d’arma da fuoco simili a quelle che si sarebbero potuto sentire nella giungla del Vietnam” ricorda Edward Messadri, ispettore capo di Brownsille, un quartiere di New York che per anni fu nell’occhio del ciclone della criminalità.
E conclude: “Ora non capita più”.
Il periodo cui si riferisce  arriva fino ai primi mesi del 1995.
Poi s’inverte la tendenza di una situazione che aveva reso pericoloso uscire di notte in alcuni quartieri della Grande Mela.
Le strade  erano diventate come quelle di una Gost Town dell’Arizona, città fantasma, le case blindate, rare auto che sfrecciavano in un’atmosfera spettrale, si fermavano ai semafori coi guidatori  pronti a sgasare se notavano persone che si avvicinavano.
In effetti dal 1980 al 1995 New York  è  un campo di battaglia, con un impressionante aumento di delitti, violenze, furti.
Le bande in lotta fra di loro coinvolgevano, terrorizzandoli, ferendoli, cittadini che andavano al lavoro, si accalcavano nelle carrozze della metropolitana, facevano jogging al mattino.
La polizia si opponevano con vigore ma con scarsi esiti alla marea montante di omicidi, spaccio di droga, stupri, violenze.
Poi uno squarcio di sereno rischiara un cielo di nuvole nere.
La situazione migliora,  gli omicidi e delitti si dimezzano.
La prima reazione è una corsa  a vantare benemerenze.
Il merito è nostro assicurano i politici: si vive meglio a New York per le leggi che abbiamo approvato.
Rudolph Giuliani si guadagna il titolo di “primo sindaco americano che ha avuto il coraggio e la lungimiranza di introdurre la tolleranza zero”.
Il presidente Clinton dichiara che anche la Casa Bianca, dando opportuni suggerimenti alle autorità locali, ha fatto la sua parte.
Sbarcano all’aeroporto Kennedy giornalisti da tutto il mondo per raccontare il ritorno alla “vita americana vivibile”.
Anche i finanzieri di Wall Street vogliono applausi: si  sta meglio perché il mercato azionario in ascesa da anni ha dato un formidabile impulso al benessere creando posti di lavoro,  innalzando il tenore di vita di chi era tentato di delinquere perché non aveva un impiego.
Il Municipio e il NYDP , il New York Department of Police, spiegano che il punto di svolta per la normalità va attribuito a diverse strategie anticrimine.
E dato che parte dei fenomeni che avvengono in America prima o poi ci raggiungeranno, conoscere le tattiche attuate con successo per contrastare crimini e delitti vuol dire dare una sbirciatina al  futuro.

L’AMBIENTE CONDIZIONA E INVITA
Una suggestiva teoria che spiega l’ inversione di rotta a New York giunge da due criminologi, James Q. Wilson e George Kelling.
Nei loro libri, nelle conferenze, nei corsi universitari propagandano l’equazione “il disordine attira il crimine”.
Hanno inventato la “teoria della finestra rotta”.
Ovunque, dalla metropoli al paesino di montagna, una finestra rotta sembra un episodio insignificante invece è l’inizio di una spirale che porta ad atti criminosi, è un biglietto di invito diffuso fra balordi a comportarsi male.
Secondo questa teoria l’impulso a imboccare una certa strada non arriva dal carattere di una persona ma dalle componenti dell’ambiente in cui vive, dall’atmosfera in cui siamo immersi, dagli esempi che riceviamo, da ciò  che abbiamo sotto gli occhi.
Il malvivente non è un individuo che ascolta solo le lusinghe del suo cuore nero, ma una persona influenzabile da luoghi e circostanze che lo circondano, una antenna che registra  segnali che gli suggeriscono di arruolarsi nelle schiere dei malviventi.
Sembra un punto di partenza troppo semplice per essere vero: nei fatti si dimostrerà un’intuizione geniale.
Scendiamo nei dettagli.
Se nel nostro quartiere, una zona abitata da persone oneste, un posto tranquillo, ordinato, un cretino rompe con un sasso una finestra e nessuno la ripara viene issata la bandiera nera della filibusta; tutti i pirati della zona  scorgono il segnale, accorrono e spadroneggiano.
Vedendo il buco nella tapparella, i vetri infranti, ma soprattutto intuendo che nessuno se ne preoccupa si convincono di aver trovato un territorio dove l’ordine è un optional.
Un altro malvivente scaglierà un sasso verso un’altra finestra, fracassandola, tanto nessuno si fa vivo, non ci sono lamentele.
Il senso di impunità si accresce, diventa anarchia: qui si può fare di tutto dato che ognuno fa  gli affari suoi, non ci saranno denunce o reprimende perché qui la gente è o pavida o indifferente, o tutte e due le cose insieme.
Estendendo il concetto, se si tollera che un accattone diventi aggressivo quando non gli diamo quattrini al semaforo, se ci disinteressiamo di chi sporca le facciate della case , se nessuno chiama le forze dell’ordine quando vede che un malintenzionato rovina i cartelli stradali, butta razzetti nella casella della posta, se sorridiamo osservando chi sale sul pullman senza pagare il biglietto, assumiamo lo stesso comportamento di chi vede una finestra rotta e non si interessa affinché venga prontamente riparata.
La situazione è descritta  nel saggio “Fixing broken windows” di Kelling e Coles “ Rapinatori e ladri, sia occasionali sia di professione, sanno che le possibilità di essere catturati, o persino identificati, si riducono moltissimo se attuano i loro propositi criminali nelle strade percorse dalle vittime potenziali già intimidite dalle condizioni dominanti. Se il vicinato non è in grado di impedire ad un accattone fastidioso di importunare la gente, il ladro può desumere che sia ancora meno probabile che si chiami la polizia per identificare un potenziale rapinatore o per accorrere se la rapina è in atto”.
Sono frasi da sottolineare e spedire alle anime belle che giustificano comportamenti  sociali ritenuti non pericolosi perché riguardano piccole trasgressioni, lanciano alte grida di attentato alla libertà quando le forze dell’ordine fermano e controllano chi gira in atteggiamento sospetto per poi strapparsi le vesti in grisaglia, per nascondere la coda di paglia, quando trovano l’auto zigzagata con un chiodo e da questo momento in poi invocano la pena di morte.

LA GUERRA DEI GRAFFITI
Una teoria non sta in piedi se non viene testata sul campo, e quella della finestra rotta ha superato ogni prova.
Alla fine degli anni ottanta l’azienda municipale dei trasporti di New York deve ricostruire la sua rete.
Manda a chiamare George Kelling, lo assume come consulente e questi chiede al nuovo direttore, David Gunn, di applicare la sua teoria se vuole dare inizio ad una vera e propria rivoluzione
Pare una battuta. E qualcuno si chiede: si arruola un esercito di tecnici, ingegneri, informatici, guardie, controllori, si investono miliardi di dollari in un’opera colossale e un criminologo non proprio conosciutissimo afferma che la prima mossa da fare è quella di cancellare i graffiti sui treni e sulle pareti della metropolitana?.
Famosi editorialisti  irridono a iniziative che non prendono di petto problemi drammatici; per loro l’ordine di creare “gruppi speciali di pulitori” per sbianchettare treni e mura delle stazioni equivale a quello di spedire i marinai a togliere il ghiaccio caduto dall’iceberg sul ponte del Titanic anziché calare a mare le scialuppe o lanciare l’S.O.S.
Ma David Gunn non cede: è convinto della teoria della finestra rotta e arruola squadre di operai “cancella graffiti” dotandoli di speciali solventi.
“Pareva una faccenda di poco conto- confida – ma il graffito era il simbolo del collasso del nostro sistema. Per vincere la battaglia del processo di ricostruzione bisognava vincere anche su questo fronte. Potevamo mandare in rete nuovi treni del costo di dieci milioni di dollari l’uno senza salvaguardarli da atti di vandalismo? Sarebbero durati un giorno”
Detto fatto. Si inizia dalla linea 7, quella che collega il quartiere di Queens al centro di Manhattan , la più bersagliata dai Picasso con bandana in fronte e tatuaggi anche sulle orecchie.
Parte il primo convoglio fra lampi di fotografi, riprese televisive e concioni politiche; alle fermate i teppisti lo accolgono con bombolette che disegnano donne nude e draghi soffianti sulle fiancate.
Il treno arriva al capolinea dove una squadra di addetti lo pulisce e lo rispedisce indietro immacolato.
E’ un messaggio per i talebani della pittura: nessuno vedrà le cazzate colorate di vostra invenzione.
Il braccio di ferro prosegue per giorni poi i graffitari la piantano e un senso di pulizia e decoro circola sulle linee cancellando inviti a imitare comportamenti imbelli .

IL BIGLIETTO VA PAGATO

Seconda tappa per ristabilire l’ordine e impedire che il cattivo esempio abbia un effetto valanga: far pagare il biglietto.
Anche qui, quando la caccia ai portoghesi venne annunciata ci fu uno scrosciare di risate avvertito sino in California.
Ma diamo fuori di testa? C’è chi ti spara mentre leggi il giornale se gli rifiuti un dollaro e invece di mettere un poliziotto su ogni carrozza li mandano alle entrate a controllare se la gente paga il biglietto?
Kelling ha diffuso la convinzione che, come i graffiti, anche il passare la sbarra senza pagare il biglietto è un preciso segnale: in questa zona le violazioni non vengono perseguite, non esistono controlli o se ci sono non ti riguardano.
Negli anni, i trasgressori erano  diventati una folla che procurava falle ai bilanci della metropolitana: si andava dai ragazzini che saltavano i cancelli automatici a chi li forzava e minacciava i controllori.
L’esempio è trascinante: perché devo fare il biglietto, può chiedersi il bancario della City, l’insegnante universitario, il chimico che deve essere in laboratorio alle otto, quando, mentre sono in fila, vedo un mare di gente che non lo paga? Sono l’ultimo dei cretini?
Oltretutto, trattandosi di un costo minimo, all’incirca un euro , in pochi davano importanza alla faccenda: si preferiva concentrarsi su scippi, furti, disturbi, aggressioni.
William Bratton, capo della polizia metropolitana, diventato un sostenitore della teoria della “finestra rotta”, in borghese, ispeziona la rete, individua i punti critici e decide di iniziare a colpire dove la trasgressione è maggiore.
Crede fortemente che il non rispettare leggi e regolamenti su limitati aspetti del vivere convinca i malintenzionati che si possa commettere, senza rischiare niente, crimini più gravi.
Piazza squadre di poliziotti in borghese ai cancelli più violati ; fermano chi non paga il biglietto, lo trattengono, lo mettono in fila e in bella vista.
Mentre fino ad allora dovevano portare i fermati in centrale per i controlli, ora sono autorizzati a farlo sul posto ricorrendo ad una stazione mobile con fax, cellulari, attrezzature per le impronte digitali.
La pesca, insieme a pesciolini, fa impigliare nelle reti anche squali,
Si scopre che una persona su sette è ricercata quindi viene caricata sul cellulare che parte a sirene spiegate per il penitenziario, una su venti ha un’arma, dal tubo di ferro al fucile a pompa, quindi viene immediatamente spedito davanti al giudice che lo processa in giornata.
“Gli arresti erano pacchi dono da scartare. Cosa ci troveremo? Un mandato di cattura inseguito, un omicida pluriricercato, un evasore fiscale? Dopo qualche tempo i cattivi misero giudizio, lasciarono a casa la ferraglia e incominciarono a pagare il biglietto, associandosi ai buoni che il biglietto lo avevano sempre pagato”.
Quando Rudolph Giuliani viene eletto sindaco, visto i risultati che a Bratton stava conseguendo alla metropolitana lo mette a capo del Dipartimento di Polizia di tutta la città.

MANO DURA ANCHE SU REATI LIEVI

Bratton ripete la lezione insegnata agli agenti della metropolitana: mano pesante anche sui reati lievi per trasformare New York.
“ Le amministrazioni precedenti avevano le mani legate. Una volta eliminati i limiti intensificammo il pugno di ferro contro gli ubriachi al volante, i graffitari e i lavavetri che chiedono soldi ai semafori. Arrestammo i ricedivi compreso chi gettava bottiglie vuote in strada, chi rovinava le proprietà demaniali o altrui, anche per danni minimi. Se urinavi per strada finivi in galera”
Reprimere le violazioni minori portò sbalorditivi risultati dando ragione a chi sostiene che  i reati all’apparenza insignificanti sono le chiavi che aprono la porta per far entrare quelli maggiori.
Ecco come è andata a  New York: l’esempio è esportabile ovunque.

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