Il Graffito come d’opera d’arte quando non è un segno grafico

Il Graffito come d’opera d’arte quando non è un segno grafico

Flavia Massarini Ghislieri

 

 

L’arte è lo sforzo incessante di competere con la bellezza dei fiori senza mai riuscirci

Marc Chagal

 

 

L’arte non è un contenitore vuoto, come lo dimostra la distinzione fra alcuni graffiti eseguiti ad arte, visti in certe mostre, e in segni grafici che imbrattano la città. L’arte è l’essenza dello spirito mai fine a se stessa. Se davvero alcuni segni grafici che si spazziano per graffiti riusciranno a sopravvivere, cosa lasceremo ai posteri, forse una forma di graffiti presisotrici? O dei finti messaggi pubblicitari con omini verdi colorati sui muri dei nostri edifici?

I segni grafici non sono arte, bensì un movimento espressivo di totale rottura con ogni canone estetico e sociale. Ciò che conta, per simil-graffiti, non è il progresso ma la provocazione, per cui gli esempi del passato perdono ogni significato e l’avanzamento è considerato la cancellazione del bello. L’arte ha proprietà dettate da principi, non scritii ma riconoscibili nel tempo, che tracciano linee guida. Lo dimostra il pensiero sull’arte dei più grandi interpreti del passato. E allora eccoci nel giocoso recupero della lunga espeienza culturale, in cui “quel che conta in arte è esprimere incanto” (René Magritte).

“Un uomo dipinge con il cervello, non con le mani”, secondo Michelangelo Buonarroti. E a proposito della natura, oggi così spesso bistrattata, Pierre Auguste Renoir diceva: “ti avvicini alla natura con tutte le tue teorie, e lei mette tutte fuori combattimento”.

Nell’arte si parla inoltre di creazione, elemento che ci avvicina sollevandoci a Dio: ” la facoltà di creare non ci viene mai data così, fine a se stessa. Sempre, essa si accompagna al dono dell’osservazione” (Igor Stravinsky).

Osservazione dunque, non distruzione espressiva o del supporto, in questo caso spesso architettonico con un suo valore artistico-culturale.

Come disse l’artista e critico gallese Mervyn Levy, agli inizi del ’900, sull’attività della pittura, forse prevedendo ciò che sarebbe accaduto di li a pochi anni, essa è u “esuberante divertimento” e la “gioia di dipingere consiste semplicemente nel non doversi preoccupare di buttare all’aria la propria persona o l’ambiente nel quale si sta lavorando”.

Il simil-graffito destina l’arte al nulla nel momento in cui la svuota dei suoi significati e nega le caratteristiche principali, dettate dalla natura e dal suo mistero. Mistero che non può essere interpretato da un segno grafico ma dalla complessità di un’opera.

Articolo di Flavia Massarini

Share This Post

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>