Decoro e arte per ripulire Milano

Ho trovato interessante l’articolo del Corriere della Sera, firmato da Armando Stella, sull’iniziativa delle saracinesche decorate da artisti della street art, nell’ operazione soprannominata “cler”.

 

Chi si ribella al degrado della città, ripristinando il colore dei supporti rovinati da scritte incomprensibili, vede nell’ “arte di strada” un modo alternativo per difendere il territorio. Soprattutto nelle periferie, sempre più degradate, interventi di veri “artisti della bomboletta” possono lasciare un segno di recupero territoriale con espressività tipica dei nostri tempi.

 

Milano ha bisogno di entrambi gli interventi: decoro e arte. Due parole che possono stare vicine perché non sono in conflitto e perché vanno nella stessa direzione: il bene della città.

 

Mi chiedo allora perché si debba creare una contrapposizione tra l’atto vandalico e l’opera d’arte quando si parla di graffiti.

 

Probabilmente è una questione di uso improprio delle parole: la parola writer identifica un vandalo? O genericamente, chiunque faccia uso di una bomboletta su un supporto murario, per scrivere o disegnare, è un artista? Prescindendo dalla semantica, ridurrei il dibattito che divide da anni il pubblico più ampio a una sola parola: permesso. Questa parola è la stessa che condividiamo noi dell’Associazione Antigraffiti con l’associazione Art Kitchen. E significa stesso iter burocratico per chiedere il consenso dei proprietari, stessa autorizzazione da parte del proprietario del bene: noi ripuliamo con il rullo, loro disegnano con lo spray. Due tecniche diverse applicate sullo stesso supporto per raggiungere lo stesso fine: rendere più bella Milano.

 

L’altro giorno gli artisti hanno dato valore aggiunto alle saracinesche del Giambellino, rappresentando vari soggetti con espressività differenti. Lo scorso ottobre, nella stessa zona periferica di Milano, i cittadini volontari toglievano centinaia di scritte sui muri dell’Aler e sulle saracinesche dei negozi.

 

In entrambi le situazioni il Comune patrocinava le iniziative. Nel secondo il Sindaco Pisapia venne addirittura a sostenere l’intervento di ripulitura.

 

Le due realtà non sono le due facce della stessa medaglia. Non sono il bene e il male. Entrambi gli interventi combattono il degrado partendo dalla stessa base: l’autorizzazione.

L’Associazione Antigraffiti ha però sempre affermato che non esiste alcuna connessione con chi imbratta e chi fa arte: solo pochissimi, fra quelli che utilizzano le bombolette, possono essere definiti artisti. Se ne desume che gli spazi dati agli street artist, come da esperienze fatte all’estero, non ridurranno le scritte sui monumenti, non diminuiranno le secchiate di colore sui treni – frutto d’incursioni notturne nei depositi – e non miglioreranno l’aspetto della città. Tutti questi sono e rimangono atti illegali. Riconoscerli per quello che sono significa distinguere con chiarezza che non esiste alcuna contrapposizione tra i cittadini che difendono il decoro  e gli “atelier d’arte”, ma soltanto fra questi e i vandali.

 

 

In questo caso, la precauzione da seguire è una sola: verificare che gli atelier d’arte non si promuovano, a spese dei cittadini, con azioni di valorizzazione di giorno, mentre, di notte, si lascino andare ad azioni di prepotente “egocentrismo artistico”.

 

Andrea Amato                                                                                                                                                                                   Presidente Associazione Nazionale Antigraffiti

 

 

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