Quando i graffitari diventano artisti

A fil di rete di Aldo Grasso

Confesso di aver seguito alcune puntate di «Street Art» per vincere un pregiudizio: detesto i graffitari. Penso che con la complicità delle autorità amministrative abbiano fatto scempio delle città. Per esempio, a Milano, non c’è più una casa, non c’è più un portone, non c’è più una strada che non sia impiastricciata da un graffito. Di solito è un segno di identità, un tag, qualcuno che è passato con una bomboletta e ha pensato bene di segnalare la sua esistenza firmando uno schizzo, uno svolazzo, spesso solo uno scarabocchio. «Street Art» è un viaggio tra le principali città italiane (Milano, Roma e Napoli) alla scoperta di opere sconosciute, ma che sono davanti ai nostri occhi, che osserviamo ogni giorno ora con fastidio ora con (moderato) stupore (Sky Arte, canale 130 di Sky, ore 22). Il programma vuole raccontare i linguaggi urbani, il passaggio dei «graffitari» dall’underground al mainstream (l’ingresso di Banksy nel grande circuito dell’arte contemporanea ha segnato un’epoca, come hanno dimostrato le sue recenti performance a New York) e la permanenza di una funzione di disturbo e straniamento molto forte. Street art come strumento per porre l’attenzione su aree problematiche, indice puntato su situazioni di abbandono, di degrado. Devo dire che una sola puntata mi ha pienamente convinto, quella su Milano di Laura Tettamanzi. Nelle vicinanze dello stadio di San Siro, in Viale Caprilli, c’è un muro che costeggia tutto l’ippodromo, è un muro lunghissimo, circa un chilometro. Due anni fa è stato il teatro della più grande jam di graffiti writing mai organizzata in Italia. Ogni pezzo di muro innesca un racconto e i writers raccontano e si raccontano. Quel lungo muro, grigio, triste, cupo sì è come animato, trovando una seconda vita. Come se la vocazione della Street Art fosse intimamente legata a situazioni di degrado. Ma il graffitaro che imbratta i palazzi storici non mi convince.

Articolo apparso il 13 dicembre 2013 sul Corriere delle Sera

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One Response to Quando i graffitari diventano artisti

  1. Luciano Rispondi

    14 dicembre 2013 at 01:00

    Credo non possa convincere nessuno sul piano artistico, ma ha già convinto troppo sul piano demenziale e delinquenziale, del quale purtroppo è espressione inconsapevole, ignorante del danno procurato dai suoi gesti ad una collettività dal cui odio e riprovazione pare trarre incentivo anziché desistenza. Ma probabilmente l’imbrattamento è l’unica arma di cui dispone per manifestare la propria inutile esistenza.
    Squallido e insulso.

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