L’urlo di una generazione disperata

I giovani writer di Floridia: la loro voglia di comunicare non ha fine. «Datemi una bomboletta, vi colorerò il mondo»

 

SIRACUSA -Chiamatela pure Street art. Quei segni che imbrattano muri, treni … forme (perché no) d’arte che si manifestano nei luoghi pubblici, che invadono il tessuto urbano e che spesso sfociano però in atti vandalici deturpando patrimoni storico-artistici. Spray, sticker art, stencil … le tecniche usate sono le più disparate, e sfuggono a ogni schema di classificazione artistica tradizionale. Chiamateli artisti di strada, i writer, che con i loro tag (il proprio nome di battaglia scritto con la bomboletta spray) invadono ogni angolo remoto della città. Strade, piazze, panchine … la loro voglia di comunicare non ha fine. E’ la loro è la voce di una generazione in panne, che non riesce ad esorcizzare in altra maniera il “male di vivere”. «Tingo i muri un po’ per una passione artistica, e per una questione di rivalsa verso un mondo troppo prestabilito e uniforme», rivela Led One, giovane writer che studia alle medie, per cui il graffito rappresenta l’espressione più efficace della propria libertà d’essere. «Tappezzare le vie della città con i miei tag – aggiunge – mi fa sentire davvero importante. Ci riconosciamo attraverso le tag e possiamo comunicare criptograficamente, attraverso messaggi in codice e scritte indecifrabili per i non writers. Lo chiamiamo “Wild Style”. E questo è l’elemento che ci contraddistingue». «Datemi una bomboletta è vi colorerò il mondo» è invece il motto di Breze One, giovane writer floridiano a 360°, studente al liceo artistico con la passione per i graffiti. Sguardo fisso. Occhi vivi, come un qualsiasi quattordicenne pieno di sogni. Impugna la bomboletta e intinge la speranza nel muro. “Servita” è la vendetta per un mondo non a misura di ragazzo. Talento innato, Breze inizia giovanissimo, ad appena 3 anni, a tappezzare di scritti le mura di casa. «Ho sempre taggato ovunque – aggiunge – persino i muri di casa mia, scatenando spesso e volentieri la disperazione dei miei. Che volete che vi dica … non posso fare a meno di graffitare. Ogni luogo deve riportare una parte di me. E poi … rivedere le mie opere per le vie del paese mi manda in delirio». Dietro ogni writer poi si nascondono varie realtà. Alcuni praticano il writing come forma di sovversione, di critica all’omologazione, come tentativo di abolizione della proprietà privata, rivendicando piazze e strade; altri come un modo per esporre le proprie creazioni ad un pubblico vastissimo, maggiore rispetto a quello di una tradizionale galleria d’arte. «Tagghiamo dove ci capita prima – aggiunge Breze – preferibilmente in zone abbastanza visibili ai passanti. E’ una questione di visibilità, che non ci sottrae al pericolo di essere beccati dagli sbirri. Una volta, munito di bomboletta, feci un grande graffito in una piazzetta che non sapevo confinasse con un’abitazione privata. Volevo dedicare la mia opera alla ragazza di cui allora ero innamorato. Non lo potevo fare alla cava, o sotto il ponte vicino al cimitero comunale, dove spesso ci riuniamo io e la mia crew (gruppo di 4-5 writer). Lei non l’avrebbe visto. Fui però beccato dalla signora che abitava in quella casa che subito chiamò i vigili. Mi fecero la multa». Non manca da subito l’occasione di vederli all’opera. Mi portano al loro rifugio. Una casa abbandonata ai margini della città, nei pressi del liceo scientifico. Uno di essi si accende uno spinello e tira una bestemmia. Fa parte dello squallore che riesuma la loro essenza artistica. Quella parte oscura di mondo insensato, che riemergerà poi nell’espulsione dello spray che intingerà la loro essenza su di un muro. «Fa tutto parte di questo schifo di vita … – grida Led – siamo il peggio e ce ne vantiamo. Anzi, lo sentiamo dire ai tanti che non capiscono un cazzo di arte. La società fa schifo e con essa gli sbirri, le leggi inutili, che limitano i nostri modi di essere e le nostre tendenze. A Floridia non abbiamo nemmeno spazi a disposizione su cui dipingere legalmente, le “hall of fame” che sono invece presenti in tante altre città». «Ci vogliono tutti nel muro, mattone su mattone, omologati, – continua Breze citando i Pink Floyd di cui il giovane è fan – ma non vogliono capire che noi ci siamo. Che esistiamo. E così ve lo dimostriamo taggando ogni angolo più nascosto della città». Ogni writer, qualsiasi sia la sua inclinazione, estrazione sociale, ricerca e studia un’evoluzione personale, per arrivare ad uno stile proprio in modo tale da distinguersi dagli altri ed essere notato maggiormente. «Il Bubble è il genere che più prediligo – rivela Breze – un genere sporco, fatto di fretta, molto tondeggiante e bombato. E con esso uso spesso gli hold skool, bordando in nero il mio graffito, conferendogli un effetto 3D, usando colori molto accesi… sembra quasi che il pezzo esca dal muro». Un’arte fine a se stessa e soggetta alla legge della strada, il graffito può cessare d’esistere anche dopo poche ore la sua realizzazione, come ci spiega Sidra, giovanissimo graffitaro che parla in un mix tra il nordico e il freestyle, e che veste da hippopparo, con larghi pantaloni tenuti sotto il cavallo e felpa rigorosamente con cappuccio. «Sullo stesso pezzo – dice – a distanza di poche ore qualcuno potrebbe “crossarci”, scriverci sopra. Ci contendiamo illegalmente con le altre crews i pochi metri di muro liberi per graffitare. E spesso finiamo per litigare, in una “battle” a colpi di graffito che non conosce vincitore. E’ un’arte di strada che può durare appena il tempo di essere creata. Un’arte fine a se stessa. Che esprime lo sdegno per un mondo che non ci appartiene».

Nella foto la chiesa del Carmine a Floridia deturpata

Floridia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Articolo di SALVO GANCI apparso su LA SICILIA il 30/12/2013

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3 Responses to L’urlo di una generazione disperata

  1. Luciano Rispondi

    2 gennaio 2014 at 22:51

    Riesce davvero difficile commentare un report del genere, la prima sensazione è del tipo “braccia che cadono” tant’è disarmante l’assenza totale di connessioni con il resto della società. Sembrano racchiusi in un guscio refrattario a qualsiasi approccio con ogni cosa o persona che non abbia la loro età, che non usi il loro linguaggio, che non condivida quelle che loro credono siano le ragioni che motivano e giustificano il loro comportamento invasivo, devastante e vandalico. Rifiutano a priori ogni concetto di regola, di condivisione di proprietà, di salvaguardia di quello che noi consideriamo patrimonio pubblico ma che per loro è solo simbolo di una società che non sentono, non vedono, non vogliono. Ecco il risultato di una generazione di genitori incapaci, o assenti e/o distratti da molteplici problematiche quotidiane, talvolta impossibilitati materialmente a tenere a bada un figlio trainato dalla sua comunità, il branco, esente da scrupoli e riluttante al conformismo che li annoia; ragazzi che crescono praticamente allo stato brado, privi di una linea guida domestica e insufficiente quella scolastica, escono sulle strade esattamente come un popolo di zombies o di randagi affamati si libera dalle gabbie e scorrazza in cerca di prede. Nel loro caso, le prede le trovano facilmente, e sono sia i muri della città che ogni altra superficie scrivibile, a prescindere dalla storia che una superfice può rappresentare ed i secoli trascorsi dalla sua creazione, cosa che a loro non interessa minimamente. Quello che li spinge è solamente la rivalsa contro quello che credono un sistema congegnato a loro danno, e la esprimono taggando in segno di spregio ogni cosa che non rappresenti il loro “pianeta”. Si, dobbiamo ritenerli alieni, perché tali sono in quanto ormai totalmente estranei nel codice genetico dal resto della gente che li critica, dalla legge che non riesce a frenarli, anche dalla famiglia a cui non riconoscono più alcuna autorità ed anzi, spesso associano violenza alla loro ribellione.
    A noi non resta che un’unica arma, purtroppo: la cancellazione più rapida possibile, che però non sempre è possibile, anche perché paradossalmente a noi servono permessi per ripulire quello che loro sporcano senza chiedere nulla a nessuno. E allora perché non consentire interventi a chiunque voglia effettuarli, senza scartoffie perditempo? Mah, misteri dell’Italia, come sempre “U.C.A.S”, ovvero ufficio complicazioni affari semplici. Anche la burocrazia è un muro di gomma.
    Ciao a tutti.

  2. NONNA VINC Rispondi

    4 gennaio 2014 at 09:20

    Ci vogliono tutti nel muro, mattone su mattone, omologati, – continua Breze citando i Pink Floyd di cui il giovane è fan – ma non vogliono capire che noi ci siamo. Che esistiamo. E così ve lo dimostriamo taggando ogni angolo più nascosto della città.

    Ecco uno stralcio dell’articolo.
    Ma benedetti ragazzi quanta devastazione di tutto vi è necessaria per capire che così
    IMPRIGIONATE VOI STESSI IN UN MURO DI STUPIDITà COLLETTIVA.
    Molto, molto remunerativa per chi vende bombolette, pennarelli e perfino quella illegalissima nuova schifezza, altamente cancerogena, che rovina per sempre i vetri.

    SVEGLIA SCIOCCHI (nel senso di senza sale in testa).
    La società del consumismo dilagante vi offre modelli deleteri di vario tipo.
    E VOI CI CASCATE COME POLLI – SEMPRE E COMUNQUE DA SPENNARE.

    Potete scegliere di fumare da subito e così rimpinguate prima le casse dello Stato e successivamente gli introiti dell’industria dei medicinali per curarvi.
    Potete pure giocare d’azzardo e, sempre, rimpinguate anche le casse dello Stato.
    Potete mangiare schifezze conclamate…pubblicizzate come energizzanti (cioccolato, zucchero, patate fritte, birra, energidrink, ecc., ecc) così prima arricchite i produttori e poi, sempre, l’industria che commercializza medicinali.
    Potete, potete potete.anche godervi il molto bello che vi circonda e migliorarlo, anziché far pisciate colorate ovunque imitando i cani.
    MA PERCHè MAI VI FATE FREGARE NELLA OMOLOGAZIONE DA TAG ,
    Datevi una botta di vita dai. Non c’è niente di più deprimente della ripetitività di gesti scemi nella vita.

    Prima o poi ci si lascia sempre lo zampino. E non cambia che si sia parte di un gruppo.. appena vi beccano SAPPIATELO BENE, MOLTO BENE (è storia) TUTTI SI DEFILANO E RESTATE SOLI E COL CERINO IN MANO.
    BUON 2014 magari datevi una botta di vita nuova dai.
    E’molto più eccitante pulire che sporcare…e se volete collaborare…

  3. Luciano Rispondi

    5 gennaio 2014 at 15:22

    “….non vogliono capire che noi ci siamo. Che esistiamo. E così ve lo dimostriamo taggando ogni angolo più nascosto della città.”

    Nonna Vinc ha ragione, nel suo appello ai writers verso una botta di vita nuova. Noi troviamo più eccitante pulire che sporcare, perché non provate anche voi? Forse non vi è ancora chiaro un dettaglio: quando lamentate il nostro “non capire” che voi esistete, che ci siete, e per dimostrarlo non trovate di meglio che invadere la città col le vostre tags, dimostrate scarsa inventiva ed ossessionante monotonia.
    Se la vostra grande aspirazione è farci capire che esistete, non ci sarebbe nulla di meglio che dedicare le vostre grandi ed innegabili energie ad aiutare la città per apparire migliore, pulita e rassicurante. Non avete idea di quanto potreste acquisire in credibilità e consensi, sia dal privato che dal pubblico, partecipando alle operazioni di restauro in vista dell’Expo 2015. In altre parole, diventereste eroi nazionali, personaggi a cui chiedere autografi, sareste sovvenzionati da istituzioni e premiati dai cittadini.
    Per la vostra fame di visibilità, NON E’QUESTO CHE INSEGUITE??
    Allora, ragazzi, fermatevi un attimo e pensateci: quale occasione migliore per mettersi in mostra e guadagnarci pure?

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