Chiamano i vandali per dipingere i ponti

MILANO – I writer che di notte deturpano vagoni e muri, di giorno vengono pure ingaggiati per «abbellire» la città

CONTROSENSO Anche un finanziamento di tremila euro per le spese delle vernici

Il confine tra la cosiddetta street art tanto amata dalla giunta Pisapia e il writing vandalico si può riassumere con efficacia in un paragone. È come invitare un gruppo di commensali eleganti e dall’apparenza molto distinta a una cena di gala. Dove ognuno viene presentato come il primario tale, il commendatore vattelapesca piuttosto che il luminare di chissà cosa, incensando capacità private e doti professionali e premiarli con un presente. Salvo scoprire poi che, dietro le luci della ribalta, il primo ogni tanto sbaglia gli interventi in sala operatoria (niente di grave, s’intende), il cumenda non disdegna di fare affari con loschi personaggi e il luminare salta spesso e volentieri a pie pari le lezioni nell’ateneo dov’è profumatamente retribuito e dovrebbe insegnare. Esagerazioni? Paradossi? Mica tanto se si pensa che il consiglio di zona 6 ha stanziato, come leggiamo dalla delibera, 3mila50 euro per patrocinare il «Bridge Festival», tenutosi tra il 22 e il 23 marzo sul Naviglio Pavese dove (leggiamo dalla locandina) «(…)8 famosi artisti urbani» avrebbero prestato gratuitamente la loro opera per regalare una nuova veste a due ponti sul Naviglio Pavese. Disegni belli, d’impatto. Arte. Tuttavia non c’è da sorprendersi che i volontari dell’Associazione nazionale antigraffiti si arrabbino dopo che, tre giorni dopo il Bridge Festival, hanno pulito insieme agli studenti della scuola secondaria «Rinascita» i graffiti vandalici sui muri di via Tortona e via Bergognone. Ricevendo zero contributi (e nemmeno un grazie) da Palazzo Marino. Un disappunto che aumenta se tra i celebrati «8 artisti» sui Navigli uno era stato colto in flagranza mentre spruzzava con le sue bombolette spray su un treno, venne denunciato dalla polizia ed è tuttora indagato per imbrattamenti. Lo stesso che, oltre alla sua tag (il nome in codice che graffittari e writer usano per distinguersi e «firmare» i loro lavori) si distingue con figure dai lunghi nasi – ormai diventate i suoi segni di riconoscimento – lasciate, del tutto abusivamente, lungo la Darsena, sui muri di stabili privati, su cabine dell’elettricità e (ancora) su convogli ferroviari. «Ci vorrebbe da parte del Comune almeno un po’ di coerenza prima di invitare certi “artisti” ad eventi sponsorizzati e celebrati – protesta l’Associazione nazionale antigraffiti. – Spesso questi cosiddetti artisti che operano nella street art hanno un passato pesante d’imbrattamenti illegali o, peggio ancora, continuano a dedicarsi al writing vandalico come se nulla fosse!». Ma quello del writer che disegna faccioni con i nasi lunghi lunghi non è l’unico caso. C’è un altro suo «collega», la cui tag è rappresentata dalla sua data di nascita (giorno e mese), che ha iniziato con il writing da giovanissimo e ha dipinto ovunque a Milano, poi si è spinto negli Usa dove ora espone in importanti gallerie. Purtroppo di lui sotto la Madonnina restano una discutibile centralina gialla dipinta a piazza Castello, un vero e proprio imbrattamento su un muro in via Forcella (zona Porta Genova), su un treno delle Ferrovie dello Stato (certamente non autorizzato) e sui muri dell’Alzaia Naviglio Pavese. Poi c’è l’artista italianissimo, ma dal nome russo, definito su Wikipedia «poeta italiano». Il suo nome compare sui muri di Milano dal febbraio 2003, addirittura partecipa a una mostra al Pac nel 2007 quando Vittorio Sgarbi è assessore comunale alla Cultura: un successone. Quel che resta di lui sui muri di questa città, però, sono i componimenti poetici strappati e affissi alle pareti delle case (come quella di Filippo Tommaso Marinetti, accanto alla lapide sulla nascita del movimento futurista, in via Senato) e tante altre scritte in piazza Duomo e al Ticinese che sollevano parecchi dubbi sul valore reale dell’arte di strada. Quindi si passa all’artista messicano che ormai da tempo vive e lavora a Milano. È conosciuto per le sue icone pop piazzate in giro per la città e in particolare per l’adorabile faccino di Arnold. Tuttavia il suo «marchio» sul territorio che ha preferito alla sua terra d’origine, se si eccettuano le faccette, è qualcosa che dalla street art è lontano anni luce. Per non parlare, infine, dei treni e dei muri rovinati da un certo Fosk/Foskia sui cui intenti vandalici non ci sono dubbi. La galassia milanese è popolata da altri «artisti» di questo tipo. Il sindaco Giuliano Pisapia però può già fermarsi a riflettere su queste «opere d’arte». E impegnarsi a gratificare maggiormente o almeno in egual misura chi fa tanto per questa città sporca che si appresta a ospitare Expo. Forse premiare chi ripulisce invece che chi imbratta può essere una scelta di buonsenso che riavvicina la gente comune alla politica.

Articolo di Paola Fucilieri apparso su il Giornale il 30 marzo 2014

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