Un movimento antigraffiti ripulisce i muri da Milano a Roma

Le segnalazioni tramite passaparola e Facebook. L’ex biologa Fabiola Minoletti : «Diamo consigli e aiuto ma servirebbe più collaborazione dai sindaci»

Squadre di volontari che si autotassano e intervengono con tute bianche e spazzole La stima del danno «Un’indagine nazionale ha stimato in 790 milioni il danno annuale delle scritte tra edifici e mezzi pubblici»

azione

Teatro della sfida: 850 metri di viale Abruzzi, una delle più trafficate circonvallazioni cittadine di Milano: da piazza Ascoli a via Piccinni. E’ notte: le crew, (le squadre di graffitari o vandali, a seconda dei punti di vista) possono arrivare in qualsiasi momento. Sono armati di bombolette con vernice spray; ultimamente, sempre di più, portano con sé acidi o bombolette al catrame. Pronti a marchiare il territorio con le tag, che sono le firme sigle degli autori o gli acronimi che nascondono slogan bellicosi. Cambio di scena: alla luce del giorno entrano gli altri “interpreti”: il gruppetto di volontari della zona, una decina in tutto, che monitorano la zona e intervengono entro 48 ore: tuta bianca, pennello, olio di lino, spazzola morbida o dura a seconda delle superfici. Un continuo botta e risposta.

Nella città d’Italia più bersagliata dalle scritte sui muri (1300 writer, 550 circa effettivamente attivi che mettono in scacco la città senza distinzioni tra centro e periferia), questo tratto di strada con 38 numeri civici, 76 serrande di negozi e 96 manufatti (edicole, cartelli stradali, centraline elettriche) è diventata il simbolo di una nuova battaglia che viene dal basso contro il degrado urbano e che sta prendendo piede in tutta Italia, da Como a Salerno, da Venezia a Campobasso.

Fabiola Minoletti, presidente del Comitato Abruzzi Piccinni e Segretario Generale dell’Associazione Nazionale Antigraffiti, è molto di più di una romantica signora votata alle buone cause. Ex biologa all’Istituto dei Tumori, studia da molti anni tutti i fenomeni di disagio del suo quartiere. “A un certo punto ci siamo resi conto che denunciare non bastava, occorreva mettere in piedi un progetto concreto, pur piccolo ma nostro, che portasse a un risultato immediato. Insomma non volevo più sentir dire che tutto fa schifo: abbiamo cominciato a bussare ai condomini, a parlare con i negozianti. All’inizio l’Amsa ci aveva regalato le vernici, poi sono finiti i soldi, così ci autotassiamo. Un noto produttore di vernici ci fa lo sconto sul materiale. Alcuni condomini hanno addestrato i portinai, si è creata una rete di osservazione anche sulle carcasse delle bici, i pali caduti, le buche nell’asfalto. L’importante è aver inoculato un po’ di virus di cittadinanza attiva. Anche nelle vie laterali”.

Col piglio della ricercatrice scientifica, Minoletti ha redatto un dettagliatissimo report su cinque anni di presidio nella strada, pieno di numeri, statistiche, istogrammi consultabile su www.associazioneantigraffiti.it nella sezione Milano Quartiere Pulito. Risultato? “Pulire serve, soprattutto se si replica velocemente all’azione dei writer. Le scritte col tempo sono diminuite, abbiamo registrato periodi lunghi fino a quattro mesi senza la necessità di alcun intervento. Ma soprattutto abbiamo risvegliato nei molti cittadini il senso del decoro: il rischio è infatti l’assuefazione, la cecità rispetto a un oltraggio che non risparmia nessuna superficie, monumenti compresi”.

Anche da altre parti della città, come al quartiere Gratosoglio, il progetto Milano Quartiere Pulito sta avendo effetti virali. “Qui certe serrande e muri non erano mai stati puliti ed erano ormai la tavola indecifrabile di sfoghi espressivi sovrapposti – spiega Marcello Puccinni del Comitato Le Terrazze “ – abbiamo ripulito due strade, sono venuti alcuni giovani che convivono nel quartiere con i taggers e gli skateboardisti. Certo, sono ritornati a sporcare ma abbiamo già ripulito e stavolta non è stata un’impresa troppo lunga.  Il prossimo obiettivo? Sempre con l’associazione antigraffiti abbiamo appena ripulito, con una trentina di volontari, un residence semi abbandonato, ricoperto da quattrocento scritte presenti su ventisei serrande e sei cancelli.”.

Piccole esperienze che si moltiplicano in tutta la città e che creano una rete per sentirsi più forti. “Tutto sta nella teoria della finestra rotta”, commenta Andrea Amato presidente dell’associazione nazionale antigraffiti. Che è quella teorizzata dal sociologo americano George Kelling e provata scientificamente dal professore olandese Kees Keizer: un gesto di teppismo non contrastato porta all’emulazione e di conseguenza al degrado sociale. Amato, che premette di non avere nulla contro gli street artist, è temprato alle insidie della prima linea e non solo perché nel sito e nella pagina facebook dell’associazione compaiono anche gli insulti dei writer che attaccano le leggi del sistema, la dittatura dei cartelloni pubblicitari o più in generale il perbenismo di una città e di una popolazione ritenuta grigia. D’altronde sigle che si trovano ovunque in giro come fia (fuck it all), ocm (o combatti o muori), pts (putas) wca (we can all), mk (make war) o siti come I hate Milan (odio Milano) lasciano pochi dubbi sul radicalismo dei graffitari. Che si fanno spesso la guerra tra di loro: i duri e puri crossano, (ovvero scrivono sopra), i murales di artisti considerati “venduti” . “Un’indagine nazionale del 2009 _- spiega Amato – ha stimato in 790 milioni di euro il danno annuale delle scritte tra edifici e mezzi di trasporto. Solo a Milano 6 milioni di euro all’anno per pulire i mezzi pubblici e 100 milioni, secondo stime dell’Assolombarda, per ripulire l’intera città prima dell’Expo”.

C’è piuttosto da convincere del problema le amministrazioni che mandano i loro rappresentanti nei cleaning day ufficiali ma poi latitano, la polizia che non ferma gli imbrattatori infiltrati nei cortei per evitare problemi di ordine pubblico, i giudici restii ad applicare la legge 639 del codice penale sui danni al patrimonio, i genitori che giustificano i writer perché “sono ragazzi e devono esprimere la loro creatività”. “Mi hanno anche segnalato che a Como un papà avvocato accompagnava suo figlio dodicenne a fare i raid notturni… Ironie? Tante in questi anni. Una volta abbiamo pulito un condominio di case popolari e c’è stato chi ci ha chiesto se visto che eravamo lì non gli imbiancavamo anche l’appartamento. Scetticismo? All’inizio. “Tanto poi imbrattano di nuovo, dunque è inutile…”.  Noi dopo una prima uscita, diamo materiali e consigli per far continuare autonomamente l’opera di pulitura a chi vive quegli spazi, stabiliamo i contatti anche con ditte specializzate per casi più complessi, coinvolgiamo uffici e società che prevedono per i loro dipendenti ore dedicate al volontariato, lanciamo campagne di adozione delle vie. Su intonaco a rimuovere una tag ci si mette due-tre minuti, una tolla di vernice costa 15 euro e dura per molti interventi”.

L’iniziativa prende piede, in tutta Italia cresce la banca-dati con i codici colori degli edifici. “Non è facile cambiare la mentalità degli italiani, così attenti alla pulizia della propria casa e spesso incuranti di quanto accade appena fuori”, riflette Rebecca Spitzmiller, americana dell’Ohio, insegnante di diritto all’Università  Roma 3, una delle fondatrici di Retake Rome-Roma -. La cosa che fa arrabbiare di più Rebecca è quando qualcuno dei suoi interlocutori le risponde con aria di rassegnazione: “E che voi fa’?”- “ Come cosa vuoi fare? C’è un articolo della Costituzione, il 118, che stabilisce la sussidiarietà, ovvero il dovere del cittadino di aiutare l’amministrazione nella gestione pubblica!”. Tradotto in soldoni: mettiti un paio di guanti e ridipingi muri, togli adesivi, spazza sotto casa. “Io ho cominciato con mio figlio e con un prodotto per il forno che si è rivelato molto efficace. Le colonne della facciata del mio palazzo erano diventate inguardabili. L’assemblea del condominio mi diede il permesso purché non dovesse pagare nulla. Non vi preoccupate, spendo io 40 euro per il materiale, risposi”. Da quell’episodio Rebecca ha messo su una rete di centinaia di volontari (tra cui molti stranieri che abitano a Roma) e ha organizzato alcune grosse manifestazioni collaborando con l’amministrazione. “Attraverso il muro pulito passa l’orgoglio civico. In America ce lo insegnano a scuola: non basta avere buoni voti nelle materie, tra i crediti per prendere il diploma occorre anche aver fatto un numero di ore di volontariato”.

Collaborano con gli studenti stranieri presenti in città anche “Gli angeli del bello” a Firenze, chiara ispirazione agli angeli del fango che diedero vita dopo l’alluvione del 1966 a una delle più straordinarie manifestazioni di solidarietà concreta in Italia. Ora ci sono 1500 volontari tra privati e associazioni, che operano anche come supporto ai giardinieri comunali nei parchi. “Formiamo squadre di sette-otto persone – spiega Andreina D’Attolico -, abbiamo esperti di restauro che ci aiutano, spesso la gente che ci vede all’opera si aggiunge per darci una mano”. “All’inizio le amministrazioni ci dicevano che ci sono problemi ben più seri, ora finalmente si comincia a capire che dai nostri gesti passa un nuovo modello di convivenza”, afferma Giuseppe Cinti di Ascoli da vivere, 700 iscritti, che soffre delle offese visive in una città costruita in travertino.

Insomma, da estetica, quella delle anti-tag sta diventando una battaglia culturale. Anche perché in tutta Italia, in modo assolutamente interclassista, i luoghi deputati alla formazione dei cittadini di domani, le scuole, appaiono proprio i più bersagliati dalle tag, dalle scritte violente o dai semplici scarabocchi. “Anche quando si mostrano sensibili al problema, i presidi sono spaventati dalle ristrettezze di budget e poi certe superfici marmoree richiedono interventi complessi – spiega Minoletti -. Ma alcuni istituti cominciano a coinvolgere i ragazzi e i genitori: riflettendo sul fenomeno delle scritte e proponendo poi un’azione diretta”. Gli studenti fra i 10 e i 13 anni di quattro scuole milanesi del centro sono andati ben oltre attraverso un progetto pensato dall’Unicef e dall’Associazione Nazionale Antigraffiti, con il supporto del Consiglio di Zona 1 dei ragazzi e ragazze. Dopo un periodo di lavoro in classe con i volontari dell’associazione sul graffitismo vandalico e sui costi economici e ambientali del fenomeno, sono stati loro a voler organizzare un cleaning day per il prossimo 17 maggio che vedrà all’opera 80 ragazzi nella pulizia dei muri di due scuole e di un ospedale: dalla richiesta delle autorizzazioni, alla preparazione dei materiali, al volantinaggio, alla comunicazione. “Molti di questi ragazzi potrebbero essere gli street artist di domani – dice Minoletti -. È importante che capiscano ora come l’espressione della propria creatività non debba andare contro la legalità”. Intanto vernice e rullo valgono cento volte di più di un’ora di educazione civica.

Articolo di Alessandro Cannavò apparso sul Corriere della Sera il 26 aprile 2014.

 

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