Gli imbrattamenti non sono opere d’arte

Lettere & Commenti

Dai graffiti con le scene di caccia nelle caverne della preistoria alle scritte murarie dell’Impero romano, numerose anche sulle case di Pompei. «O il Piave o tutti accoppati», si leggeva su ungarettiani «brandelli di muro» all’indomani di Caporetto, come ordinato dagli alti comandi per galvanizzare la truppa prostrata e moritura. Ed è forte qui la risonanza con i noti versi di Brecht : «Sul muro c’era scritto col gesso/ viva la guerra…». Con le frasi incise sui muri della primavera ’68 si sono fatti libri oggetto di studio e di culto. Da sempre e fino ad oggi le scritte murarie hanno raccolto simboli e slogan della politica, dalla falce e martello alla croce uncinata, dalla A di Anarchia alla stella cinque punte delle Bierre. Scrivere o disegnare sui muri è una pratica antica quanto la civiltà, ricca di storia e storie. E tuttavia può diventare un atto altamente incivile, gratuito e idiota. Certo lo è stato quello di chi di recente ha imbrattato il portale del Duomo di Milano con la sua «tag», la tipica ed elaborata firma dei writers, vergata con spray bianco. Non un gesto isolato, se ogni anno si spendono 50 mila euro per rimuovere scritte e graffiti dalla Cattedrale. E si può assistere al paradosso per cui sotto la presunta casa di Giulietta a Verona non si fanno più gli autoscatti sullo sfondo del famoso balcone, ma contro le pareti dell’ingresso al cortile, incrostati fino al soffitto da messaggi incisi o appiccicati col chewingum: l’attrazione non è più il monumento ma la sua deturpazione. Tutt’altra cosa, si capisce, è la street art, promossa fra le forme espressive più rappresentative della contemporaneità, che si affaccia alle gallerie d’arte e che grazie al web ha conferito a personaggi come Banksy e Obey una celebrità planetaria. Lo street artist ha a cuore l’estetica ed è animato da un’autentica e potente passione, quasi una fede, che può portare all’estremo sacrificio, come è stato un mese fa per un ventenne di Novara, travolto e ucciso da un treno mentre ispezionava un vagone abbandonato su un binario morto, la sua prossima tela. È molto labile il confine che separa la nobile arte di strada dal vandalismo. Una parolaccia su un muro appena ripulito è solo fastidiosa volgarità. Il variopinto murales che rianima un capannone arrugginito, una palizzata di lavori in corso o un grigio sottopasso può essere un regalo, un lampo di luce. Molto è affidato al buon senso e al buon gusto, valori rari ovunque e dunque anche fra i graffitari. Ormai lontana la gioiosa energia creativa del Maggio parigino, che voleva l’immaginazione al potere, oggi che al potere c’è tutt’altro anche le loro scritte sui muri rischiano spesso di apparire cupi e tristi soliloqui, frutto di frustrazione più che di autentica necessità espressiva. Scrivere o disegnare sul muro è un gesto primordiale, un impulso tipico dei bambini, e c’è qualcosa di molto infantile nelle scorribande dei writer che battono la città, vestiti nella loro divisa d’ordinanza, la felpa nera col cappuccio per confondersi nella notte. Come i bambini sembrano in cerca di una conferma di esserci, rivelano una sorta di debolezza identitaria, e una forma di solipsismo nel bisogno quasi ossessivo di stampare ovunque la propria firma, nel loro rivolgersi soprattutto a se stessi, o al massimo ai writer loro simili. E al passante frettoloso, a chi va al lavoro o alla signora con le borse della spesa, a vederle tutti i giorni che effetto fanno quelle scritte? Comprensibile fastidio quando compaiono sul muro di casa propria. Altrimenti diventano in fretta routine, segni indistinti sullo sfondo, banale segno di degrado urbano, come un cassonetto che tracima. Quando sono davvero originali, o connotate da un percepibile sentimento, possono accendere la miccia di un pensiero o di un’emozione. Può capitare anche per le vie della città di Trento, dove le scritte non mancano e alcune stanziali da anni sono diventate parte dell’arredo. Che scemo! viene da dire alla vista della tag disegnata col pennarello indelebile sulla bacheca con gli orari del bus, che li rende illeggibili. Che schifo! mormoro ogni mattina alla mia fermata del numero 6, dietro cui campeggia da anni la scritta «No nazi no party», che più volte sono stato tentato di cancellare io visto che nessuno provvede. Da una scritta scaturisce a volte un contraddittorio, e denota scarso acume, oltreché una caparbietà degna di miglior causa, quello in corso da tempo sul muro della ex questura, che recita «Trento è antifascista», con l’anti che viene cancellato e riscritto di continuo, disputando su un dato che per fortuna risulta chiarito a sufficienza dai risultati elettorali. Poi c’è anche altro. C’è il tenero messaggio dipinto a grossi caratteri rossi, comparso sulla parete di fronte a una scuola superiore nei giorni dell’esame di Maturità: «Forza sorellina che ce la fai!». E se la dichiarazione d’amore è una delle scritte più inflazionate e banali, se ne può trovare una davvero bella e romantica, a caratteri più piccoli e già un po’ sbiaditi, su un vecchio e scalcinato muro dalle parti di Santa Maria: «Niente è come me e te insieme!». Da copiare. E da vivere, quando se ne ha la fortuna.

Articolo de L’Adige nella sezione Lettere e Commenti di Alessandro Tamburini del 20 Settembre 2015

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