Il caso Poison graffittaro clandestino ha «decorato» centinaia di treni metropolitani invitato nel museo comunale. L’imbrattatore di vagoni celebrato dal Macro

Roma

LASH e POISON sono tornati per dichiarare guerra al decoro urbano di Roma. Per chi non li conoscesse, i personaggi in questione sono due tra i graffitari più attivi nella Capitale: il primo si è autoincoronato «re di Roma» e si fa chiamare LASH KING OF ROME; il secondo, di fama internazionale, è invitato a mostre ed esibizioni. Centinaia di treni metropolitani della Capitale portano i segni delle loro illegali scorribande bombolettare sotto forma di disegni, scritte o semplici tag spruzzate in anni di clandestina attività. POISON, il più famoso dei due, a luglio dell’anno scorso è stato invitato persino negli spazi del MACRO di Testaccio per un live painting (pittura dal vivo) durante la mostra «URBAN LEGENDS», innescando un’aspra polemica, soprattutto in rete. Molti, infatti, hanno giudicato inopportuna l’idea di far esibire nella importante istituzione di arte contemporanea della città un «artista» che per anni ha agito nella più assoluta illegalità, lasciando i suoi marchi colorati là dove non avrebbe potuto. «Possibile che nessuno intervenga? – si chiede un utente- Le autorità avrebbero tutte le informazioni necessarie per denunciarlo: nome, cognome, volto, foto di treni imbrattati, che altro serve? Diamine, è quasi un’autodenuncia!». Il dibattito è stato così aspro che il curatore della mostra «URBAN LEGENDS» ha cercato di metterci una pezza intervenendo sul sito della galleria d’arte «999Contemporary». «Vorrei anzitutto sgombrare il campo da alcune inesattezze che ho potuto rilevare -scrive il “writer” in questione non è parte della mostra, ma è stato chiamato da me per partecipare ad un evento collaterale; POISON, inoltre, non ha ricevuto alcun compenso per la sua prestazione». Con questo ovviamente non risponde alle critiche di chi sostiene che chi commette azioni illegali non dovrebbe esibirsi in uno spazio comunale. E poi: d’accordo stimolare il dibattito sulle «opportunità espressive di un’arte pubblica legale e organizzata, nel rispetto delle regole e in relazione con il contesto», ma resta il fatto che il Comune di Roma spende ogni anno la cifra monstre di circa 2 milioni di euro per ripulire i propri mezzi da scritte e disegni vari, che diventano 6 se sommiamo le spese dell’Atac per rimettere a nuovo finestrini di metro e tram. Così come non va dimenticato che Roma non possiede più quell’ufficio per il decoro urbano, soppresso nel 2013, che garantiva la cancellazione di ben 250 metri quadrati di graffiti al giorno. In sostituzione è stata attivata una «linea decoro» che, con la miseria di 50mila euro annui a disposizione, è intervenuta solo in presenza di frasi ingiuriose e razziste, lasciando ai proprietari degli immobili la briga di pulire a proprie spese tutto il resto . Davvero troppo poco per quella che è la città più colpita in Europa dal graffitismo vandalico e che è stata consegnata inerme, per anni, alle scorribande impunite dei graffitari. Il problema dei writers a Roma è talmente evidente da spingere, nel dicembre dello scorso anno, il sindaco Marino ad annunciare misure straordinarie: «Mi sto convincendo a organizzare per i writers delle vere e proprie trappole, in modo da coglierli sul fatto, processarli per direttissima e metterne alcuni in sicurezza, a Rebibbia», disse. Da quel giorno in poi, però, più niente. Fino a maggio di quest’anno quando l’assessore ai lavori pubblici Pucci ha annunciato l’arrivo di una nuova task-force anti-writers, la «centrale unica del Decoro e della Manutenzione urbana», un nuovo ufficio che con un budget annuo di 2 milioni di euro dovrebbe garantire una risposta concreta al problema. Attendiamo fiduciosi.

Articolo de Il Tempo di Alessio Buzzelli del 22 Settembre 2015

 

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