I graffiti , da forma di protesta a vera e propria forma d’arte

Roma

Urbs picta. Il titolo latino della mostra evoca quei cataloghi che circolavano come guide turistiche nella Roma medievale a segnalare ai pellegrini i tesori della città. Ma non è la Roma dei capolavori delle chiese e dei grandi musei del centro quella che da spettacolo al museo Bilotti grazie al suggestivo repertorio di immagini scattate e firmate da Mimmo Frassineti, fotoreporter di lungo corso, cronista di eventi d’arte e pittore. E’ la città sconosciuta e marginale delle periferie che fa sentire la sua voce, il suo disagio, specchiandosi nelle opere di un manipolo di autori e talenti che si riconoscono e si esprimono nel linguaggio anarchico della street art. Un microcosmo che negli ultimi anni è uscito dalla clandestinità e ha vissuto qui a Roma una straordinaria stagione di creatività. Come documentano le foto con cui Mimmo Frassineti ha registrato gli interventi compiuti dal popolo della street art nei quartieri della cinta periferica, affrescando muri e facciate o lasciando la loro inconfondibile impronta in aree e spazi pubblici prima inaccessibili o violati da bliz fuori legge, come i corridoi del metrò o i piloni della sopraelevata. O in strutture sociali alternative come i centri sociali o i palazzi occupati. La pittura come un gesto di ribellione e di denuncia, gratuita e senza obiettivi di mercato. Alcuni lo meritano davvero. Come Blu, nome di battaglia di un trentenne schivo e riluttante a farsi pubblicità che ha firmato due tra i murales più belli. La gigantesca allegoria del potere, un parlamento di livide maschere bianche di uomini togati dipinto sul prospetto del vecchio cinodromo in disarmo. E un visionario affresco su una facciata di S. Basilio: una spirale a gomitolo che segue tutte le vicende del` l’evoluzione dal caos del Big Bang per culminare nella profezia apocalittica di una metropoli moderna, che collassa e precipita verso terra a frammenti. O come Lucamaleonte, inventore di forme di animali e mostri vegetali prese in prestito da manuali di zoologia ottocenteschi: suo il minaccioso corteo di vespe al Quarticciolo, quartiere rosso che gli occupanti nazisti definivano «un nido d’api». Tutti o quasi questi pittori in incognito ma sempre più riconoscibili praticano arte di figura, con stilemi che strizzano l’occhio al fumetto, alla caricatura, al volantino di protesta. Perché è lì, dal bacino della protesta e della controinformazione, che la fantasia della street art è decollata, riscattandosi dal puro vandalismo e dal narcisismo dei graffitari. Ce lo ricorda una foto scattata nel 77 a Tor di Nona. Un gigantesco affresco partorito dal movimento per impedire la demolizione delle vecchie case popolari. Vinta la lotta partì la riconversione dei caseggiati e i dipinti sono stati cancellati via. A ricordare l’impresa è rimasto solo un frammento, che è diventato un simbolo: L’Asino che vola. Museo Bilotti, villa Borghese

Articolo de Il Messaggero di Danilo Maestosi del 2 Novembre 2015

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