Il Mediterraneo negli occhi

CATANIA

Un pescatore siciliano che studia le onde dalla banchina del porto; un marinaio che ricorda le acque che lo hanno spinto fin lì; un ragazzo migrante che guarda l’orizzonte e ripensa alla vita di là del mare e tra le dune del deserto: ci sono tante biografie dietro questa figura creata dallo street artist portoghese Alexandre Farto, in arte Vhils, al porto di Catania. Forse non è nemmeno importante stabilirne una, dal momento che il ritratto si sofferma sullo sguardo di un uomo qualsiasi, steso su otto silos affacciati sull’acqua.

L’opera, donata alla città dalla Fondazione Terzo Pilastro, è immensa, una delle più grandi del mondo, oltre duemila metri quadrati di ampiezza; da vicino è difficile comprendere di cosa si tratti: per apprezzarla bisogna osservarla dal mare, o dal molo di attracco, ma sono già state scattate foto dai finestrini degli aerei. Colpisce tra le scelte dell’artista ventisettenne l’aggiunta del colore: normalmente il suo stile si distingue per il chiaroscuro, ottenuto tramite la scalfittura dell’intonaco; trapano, acidi, piccoli esplosivi e scalpelli incidono percorsi nella parete. Secondo Vhils, la distruzione è una forma di creazione: i nostri volti sono sommersi da strati che nel tempo occultano la nostra vera identità, la forma più pura viene liberata solo scavando. Ma l’abilità di uno street artist si misura anche nell’adattarsi alla superficie: il metallo dei silos non ha permesso il lavoro di disintegrazione, sostituito dal disegno dei lineamenti tramite aerografo e vernice spray.

Gli occhi sono rivolti a Est, verso la Grecia, l’Egitto, la Siria, il Libano: uno sguardo al passato, alla tradizione, sottolineando le origini elleniche e arabe della Sicilia; ma soprattutto uno sguardo al futuro, a quel ponte tra culture che è il Mediterraneo stesso. A Beirut Vhils realizzerà nella primavera del 2016 un secondo ritratto, rivolto a Occidente: Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, è partner del progetto, mentre Emergency si sta occupando del supporto diplomatico. Sarà il volto di una donna e l’incrocio di sguardi – grazie a una rotta calcolata con l’istituto geografico di Greenwich – rappresenterà l’unione tra i popoli affacciati sul mare «in mezzo alle terre», un abbraccio tra diverse culture.

L’intervento di Vhils prosegue il lavoro iniziato con il festival Street Art Silos , curato da Giuseppe Stagnitta dell’associazione Emergence: nei mesi di giugno e luglio otto street artist di fama internazionale hanno decorato altrettanti silos del porto, sul lato verso la città. La trasformazione in monumento contemporaneo mira a contrastare il degrado causato dai ruderi dell’industriale. I disegni, pieni di riferimenti alla mitologia e alla tradizione siciliana, hanno riqualificato la zona portuale, restituita ai cittadini come nuova area di interesse. Contattato dalla «Lettura», Enzo Bianco, sindaco di Catania, ha dichiarato: «Queste opere sono problemi trasformati in opportunità. Gli orribili silos sono diventati un simbolo della rinascita artistica della città. Nelle periferie di tutto il mondo il grande problema è il vandalismo. Se si riescono a coinvolgere gli abitanti, l’opera d’arte diventa di tutti: un patrimonio da difendere».

I due progetti si inseriscono in un fermento culturale che ha investito Catania negli ultimi due anni. Sembra funzionare la partnership pubblico-privato. Il presidente Emanuele F. M. Emmanuele della Fondazione Terzo Pilastro si è dichiarato soddisfatto della collaborazione con l’amministrazione: «Mi auguro – ha aggiunto – che questa forma d’arte si diffonda via via in maniera organica in tutta Italia, dando la dignità e l’importanza che merita a questo movimento, a questa nuova scuola espressiva».

D’altra parte Vhils non è il solo artista urbano presente ora a Catania: il suo murale introduce la mostra Codici sorgenti. Visioni urbane contemporanee , aperta a Palazzo Platamone fino al 18 gennaio. L’esibizione narra l’evoluzione storica della street art: dal graffitismo delle origini alle correnti che ora convivono in un movimento vastissimo. Tra queste si distinguono i «writer», attivi a New York negli anni Ottanta: le opere di Ero, Delta 2 e A One raccontano la volontà di scrivere il proprio nome ovunque, anche sulle carrozze della subway, per farlo girare in tutta la città. Più vicini a noi sono i «figurativi», fotografi della realtà: alcuni si concentrano sull’uomo – oltre a Vhils, presente anche in mostra, troviamo Seth e la sua bambina dalla treccia di fazzoletti colorati ; altri sul mondo animale – come il belga Roa; altri ancora si dedicano a entrambi – come il francese C215, che applica stencil in posti inaspettati come le vecchie cassette della posta.

Ricca anche la selezione di chi preferisce mondi alternativi: i «surrealisti» si servono di elementi reali ma li trasferiscono in paesaggi inventati che ricordano l’esplorazione del subconscio di Dalí – tra loro il duo ucraino Interesni Kazki, già al lavoro in estate su uno dei silos; al contrario, i «neoastrattisti» si staccano totalmente dal sensibile, a favore di forme geometriche ed esplosioni di colori (in mostra l’italiano 108 e l’americana Maya Hayuk). Sono quattordici le nazionalità degli artisti esposti in una mostra che poi girerà l’Europa: un’arte così contemporanea come la street art non può certo mancare di multiculturalismo.

ARTICOLO DI DAVIDE FRANCIOLI DEL CORRIERE DELLA SERA DEL 27 DICEMBRE 2015

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