«Niente graffiti solo su monumenti e luoghi di culto»

REGGIO EMILIA

I writer “bravi” e quelli “cattivi”. Gli artisti e i vandali. I luoghi “adatti” e quelli “vietati”. La ripulitura dei muri del centro storico (a partire da via Emilia San Pietro) da scritte, graffiti, scarabocchi e opere di writing ha riacceso un dibattito che in città non si è mai fermato, e che vedrà il prossimo 26 gennaio un importante confronto allo Spazio Gerra nell’ambito della mostra sulle ex Officine Reggiane, probabilmente il laboratorio di street-art all’aria aperta più vasto e creativo d’Europa. Difficile penetrare la scena dell’arte di strada reggiana: noi abbiamo intervistato un writer reggiano e gli abbiamo posto una serie di domande. Eccole.

Per iniziare, cosa è la street-art? «Preferirei parlare di graffiti. Per capire cosa sono esistono tanti modi di documentarsi: video, libri, riviste, la rete…».

A voi street-artist interessa che la “gente comune” capisca il senso delle vostre opere oppure no? «Ad alcuni sì, ad altri invece no».

A Reggio il comune sta rimuovendo scritte, graffiti, tag e altro dai muri del centro, cosa ne pensi dell’operazione? «Un esempio di “creazione del consenso”. Si prende quello che fa comodo di un fenomeno e lo si utilizza come un vanto, per esempio “la street-art per combattere il degrado”, ma allo stesso tempo si demonizza la parte di quel fenomeno che piace meno. Si danno nomi diversi ai due aspetti, ad esempio “street art” nel primo caso e “writing vandalico” o “vandalismo grafico” nel secondo e si cerca di farli passare per distinti, quando sono solo due facce della stessa medaglia».

C’è differenza tra “pittare” in un luogo abbandonato come le ex Reggiane, sul muro di un cantiere, sulle cabine di distribuzione dell’energia elettrica oppure sugli edifici storici del centro, su un monumento? «Non si dipinge su monumenti o luoghi di culto. Chi lo fa si prende una libertà che va al di là di quanto normalmente condiviso da chi fa graffiti. Il resto è discrezionale, in merito esiste un dialogo tra le stesse persone che dipingono».

Bisogna o no ma soprattutto come si fa a distinguere tra street-art, tag di artisti in erba, scritte ingiuriose, messaggi d’amore, scritte politiche? Non è tutto uguale, no? «Queste sono categorie. Più che saperle distinguere in modo preciso, conta capire chi ne fa uso e per quale scopo. Come in altri contesti le parole dell’attualità sono scivolose e chi pretende di definirle in modo oggettivo esercita un’azione di potere: attenzione! Va bene usare le categorie, ma chiediamoci anche quale voce ci racconta la “realtà”, per quale ragione e con quali strategie».

Avete una sorta di codice di autodisciplina interno: questo si fa, questo no? Oppure, per così dire, vale tutto? «Il rispetto. Questa è una cultura che nasce dalla strada per la strada. Lì la mia parola conta quanto la tua. Dare rispetto è togliere i pregiudizi, cercare di osservare l’altro a prescindere da ciò che abbiamo letto di lui sui giornali. E’ un modo di comprendere attraverso la conoscenza diretta».

Ai movimenti no-writers cosa vi sentite di rispondere? «Fate ciò che vi pare».

Molti non capiscono perché vi celate dietro l’anonimato: è più una questione di sicurezza, di legalità (visto che le pittate di fatto sono illegali) o di altro? E quando partecipate a progetti “ufficiali” come la sagra della street-art restate comunque anonimi? «Forse abbiamo letto troppi fumetti di Paperinik».

Che spazi vorreste a Reggio, ex Reggiane a parte? «Posso dire quello che vorrei io: bloccare veramente il consumo di suolo (non solamente con gli slogan) ad esempio sulle operazioni dei nuovi centri commerciali in via Rosa Luxemborg e Parco Ospizio; rendere la gestione dell’acqua pubblica, non con una finta società mista; garantire l’alloggio ai senzatetto per tutto l’anno; garantire veramente il diritto alla residenza al civico pubblico e il conseguente accesso al sistema sanitario (a Reggio sono in molti ad esserne esclusi); creare un registro dei luoghi privati sfitti pubblicamente consultabile; controllare e disincentivare tutte le finte coop che utilizzano il sistema delle deroghe per sottopagare i lavoratori (per lo più migranti). Queste sono alcune cose, per i muri basta avere qualche spazio legale in più».

Articolo della Gazzetta di Reggio del 27 Dicembre 2015

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