BOLOGNA
«A 84 anni mi sono messo a conoscere un mondo. Quello dei graffiti, Street Art la chiamano. Blu, Banksy non li avevo mai sentiti nominare, poi… La nostra non è una campagna per staccare i dipinti dai muri, ma per salvare quelli che sarebbero distrutti. Solo quelli. Non c’è nessun interesse economico, solo la volontà di assicurare un futuro a un valore culturale». Giorgio Minarelli è «l’imprenditore che ama i graffiti». Il primo sponsor (sui generis) dell’idea partita dal recupero delle opere d’arte disegnate sui muri di Bologna e che a marzo sfocerà in una mostra internazionale al Museo della Città. «Abbiamo costituito un’associazione che tramuteremo in onlus, Italian Graffiti. Presidente Fabio Roversi Monaco. C’ho messo per ora qualche decina di migliaia di euro, è tutto il nostro capitale. Il futuro è un mecenatismo più diffuso. Speriamo che altri operatori scendano in campo, ci sono molte fondazioni e secondo noi questo è un progetto per la città nel suo complesso. Per far parlare il mondo di Bologna, far venire giovani a vedere, a confrontarsi». Minarelli per mezzo secolo, fino alla cessione alla Yamaha, sono state le moto made in Bologna. «Mio padre era amico di Enzo e Ariosto Seragnoli, lavorava in GD, quando facevano moto. Conosceva i fratelli Maserati, Morini, Weber. Poi aprì l’azienda sua». Lei vuol continuare a correre? «Per fermarci c’è tempo. Sono collezionista da quando avevo vent’anni, con le lito. Ho frequentato soprattutto l’arte antica, ho 250 opere. Sono arrivato ai graffiti attraverso Camillo Tarozzi, il restauratore. ‘”C’è a Bologna uno che si chiama Blu e imbratta i muri. – mi disse – Un giorno verranno giovani a vederlo da tutta Europa”. “E chi è?”. “Domandalo ai tuoi nipoti”. Io l’ho chiesto ai figli di Carlotta, adesso hanno 17 e 19 anni, e ho scoperto che per loro era un idolo. Camillo aveva bisogno per due o tre mesi di uno spazio per un’opera di grande dimensioni che aveva ritagliato con il muro, gli ho dato un capannone dove adesso ci sono le opere bolognesi che comporranno la mostra». Lei con Guazzaloca sindaco ha sostituito alla presidenza della Galleria d’Arte Moderna Lorenzo Sassoli, poi con Cofferati sindaco è stato sostituito da Sassoli. Cosa pensa della sua proposta di un Festival dei Graffiti e della sua dichiarazione che questa mostra può essere un buon inizio? «Stimo Sassoli come operatore intelligente, preparato. Poi i suoi gusti sono lontani dai miei. Io alla GAM avevo un’idea molto precisa, l’alternanza continua dei nostri artisti bolognesi ed emiliani con quelli internazionali. Lui è per l’avanguardia più avanguardia. Mi fa piacere che su questa iniziativa dei graffiti ci troviamo sulla stessa linea». Non pensa che staccare i graffiti sia snaturarli? «Le opere devono rimanere dove sono create. Finché si può. È così da sempre, dalla Nike di Samotracia in qua. Blu deve rimanere dove è, ma le officine Casaralta e Cevolani le stanno distruggendo. Noi salviamo i dipinti. Succede per tutta l’arte. E per la prima volta la strada va in mostra». A 84 anni crede che possa servire per il futuro i Bologna? «Potrebbe mettere un poco d’ordine in nome della qualità, separare i graffiti dagli scarabocchi. Smetterla con la demonizzazione in blocco. Spingere i giovani a scegliere. Se mi sporcano il muro di casa io lo ridipingo, se trovo un graffito bello ci ragiono. Su XM di Blu, in via Fioravanti, ci avevano fatto delle scritte sopra, Camillo mi ha detto che lo hanno restaurato dei ragazzi dei centri sociali. Il nostro più che un laboratorio, è un progetto. E le opere messa su tela da Tarozzi hanno una suggestione formidabile. A me sembrano più belle di prima».
ARTICOLO DEL CORRIERE DI BOLOGNA DEL 9 GENNAIO 2016
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