LA CITTÀ CHE TEME IL NUOVO

BOLOGNA

SI è forse placata la polemica sugli arredi urbani delle piazze Ravegnana e Mercanzia, ed è possibile fare considerazioni più complessive su tutto l’intervento che ha interessato l’antico tracciato della via Emilia. Sono stati allargati gli spazi pedonali ai lati di questo tracciato consentendo al palazzo Re Enzo e al Nettuno di avere al loro contorno il necessario respiro. E’ sorprendente quanto ora appaia angusto il precedente camminamento, e quanto fosse monca di un lato la via Rizzoli prima di questi lavori.

Ilavori che stanno per terminare hanno trasformato il cammino da via Ugo Bassi fino alle Due Torri in una piacevolissima passeggiata e pertanto, come ogni vera passeggiata richiede, sono necessari anche spazi dove potersi fermare e ammirare il paesaggio. Ecco che l’arredo urbano delle due piazze sopra ricordato diventa il completamento dell’intero progetto: creare le condizioni per una sosta. Gli spazi pubblici devono essere usati e vissuti e non solamente ammirati. La vicina piazza Santo Stefano, da questo punto di vista, rappresenta l’esatto contrario. Una bellissima scenografia dove è impossibile camminare e sostare per via del suo impervio acciottolato, nemmeno in bicicletta la si può attraversare se non sfruttando il tracciato dei lastroni levigati che corre al centro. Ogni progetto, per dirla in breve, deve sapere coniugare l’estetica con la funzione e per questo motivo ritengo l’intervento nelle due nuove piazze più riuscito rispetto a quello fatto nella piazza delle Sette chiese perché con delle semplici forme geometriche, che in quanto tali sono pure e non aggettivabili come belle o brutte, si è assicurato un uso nuovo, e puramente pubblico, di quegli spazi. Il tempo e l’uso, come sempre, li assimilerà al contesto, e l’immediata polemica sorta apparirà per quello che è: un volere difendere la propria visione, esclusivamente privata, di quegli spazi urbani.

C’è un precedente. E’ stato annunciato il progetto di riaprire il cinema Ex Centrale, ora Modernissimo, sotto al palazzo che fa angolo tra via Rizzoli e il Pavaglione. Il vecchio sottopassaggio tornerebbe così ad avere una sua nuova funzione in quanto collegamento tra il nuovo cinema restaurato e la Sala Borsa. Considerando questo progetto unitamente all’ampliamento in superficie dell’area pedonale attorno al palazzo Re Enzo come non rendersi conto dell’errore che è stato fatto eliminando le famose “Gocce”. Ora potevano diventare un ingresso molto funzionale per l’intera struttura.

Una polemica politica che aveva assunto i toni di una ripicca privata ha privato uno spazio pubblico di un’opera di architettura contemporanea che aveva allora e avrebbe avuto ora una precisa funzione. Ma Bologna in questo ha un triste primato. In tutte le città di cultura del mondo, l’arte moderna e contemporanea è raccolta ed esposta in edifici di architettura moderna e contemporanea, offrendo l’occasione per un perfetto connubio tra architettura e arte. Solamente Bologna ha fatto il percorso inverso, ha abbandonato – ora funge da grande guardaroba per la sala congressi – la sua Galleria progettata da Leone Pancaldi per adattare a Museo un antico opificio ottocentesco. Bologna non ama pensare al futuro e non ama nemmeno il tempo presente, è una città vecchia, conservatrice che si spaventa di fronte al nuovo. Quale altro perfetto esempio di questo spirito conservatore nella proposta di staccare i graffiti della street art e di esporli in un museo? O quella di chiudere per sempre il sottopassaggio tra le vie Ugo Bassi e Guglielmo Marconi invece che farne oggetto di un concorso di idee per giovani architetti?

ARTICOLO DI PIERO DALL’OCCA DEL 22 GENNAIO 2015, LA REPUBBLICA

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