“Quei graffiti sulla mia opera hanno aggiunto arte all’arte”

TORINO

Ci sono graffiti e graffiti. Graffiti che non devastano, ma esaltano. Che aggiungono arte all’arte in un gioco di specchi che sarebbe piaciuto a Benjamin. Ed ecco che nella Torino capitale dell’arte contemporanea può capitare che un gesto di protesta si trasformi in gesto intellettuale. E che la «vittima» di questo intervento non lo consideri uno sfregio, ma una sorta di elisir di giovinezza, in grado di restituire attualità alla sua opera d’arte originaria. E non è un caso che a benedire l’irruzione cromatica dei graffitari sia l’artista che ha fornito la base della loro opera. «Un gran bel disegno»

Protagonista di questo rivoluzionario modo di interpretare i graffiti è lo scultore Bruno Martinazzi, 92 anni, che dopo aver scoperto, insieme con un amico con cui sere fa passeggiava lungo il Po, che la sua scultura inaugurata dieci anni fa per il percorso dei non vedenti in lungo Po Antonelli, era stata imbrattata per l’ennesima volta da qualcuno armato di bomboletta spray, si è rallegrato del nuovo abito della sua opera. «Passeggiavo con il professor Peter Praxmarer – racconta – e insieme abbiamo trovato dipinto sulla scultura un grande volto di un artista e intellettuale cileno, Victor Jara, musicista autore di indimenticabili e poetiche canzoni e non solo, uomo impegnato con la cantante Violeta Parra, gli Inti-Illimani e il premio Nobel Pablo Neruda, per una cultura della vita senza violenza. Victor Jara fu torturato e ucciso in Cile pochi giorni dopo il golpe di Pinochet».

Poi arriva al punto: «La firma di questo dipinto ai Murazzi è “Brigada Victor Jada”, gruppo musicale portoghese che professa e canta la non violenza, attivo negli anni della rivoluzione dei Garofani: un gruppo che esiste ancora e canta un mondo senza guerre».

L’inno alla vita

L’artista fa notare che questo inno alla vita e alla pace è stato alla base dell’ispirazione di questa scultura realizzata per il Comune dieci anni fa. «Il fatto che qualcuno abbia interpretato così la mia scultura tanti anni dopo, dieci per la precisione, mi ha fatto molto riflettere e vorrei che si potesse aprire un dibattito sul suo significato. Ci sono tematiche che non muoiono mai, non è una coincidenza banale».

Insomma l’artista arriva addirittura a chiedere di conoscere gli autori di questi graffiti: «I Murazzi la sera sono frequentati da giovani che spesso noi consideriamo superficiali e senza cultura solo capaci di imbrattare muri e opere: stavolta non è andata così e mi farebbe piacere avviare un dibattito vero sui graffiti».

I corsi e i ricorsi

L’artista non manca di fare notare che fatti di 40 anni fa si ricollegano a quelli di dieci anni fa «e all’oggi proprio in questo dipinto realizzato di fresco sulla mia opera». Se si osserva bene questo blocco di pietra che quando fu sistemato lungo il fiume era candido come la neve si capisce che è sempre stato considerato una lavagna per graffiti.

Quando però si trattava di frasi e disegni senza un senso specifico, l’artista – che abita a poca distanza dalla sua opera – restava indifferente e leggermente intristito da questo segno di degrado: oggi invece se ne rallegra: «Hanno ringiovanito la mia opera».

ARTICOLO DI EMANUELA MINUCCI DEL 2 FEBBRAIO 2016, LA STAMPA

Share This Post

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>