Lo scultore ha trovato il graffitaro “Hai fatto rinascere la mia arte”

TORINO

«Questo incontro è stata una coincidenza miracolosa». Bruno Martinazzi e Herman Patricio Arenas Silva hanno gli occhi lucidi, pur trattenendosi un po’, mentre parlano per la prima volta via Skype. Ieri sera – dopo l’appello lanciato dallo scultore attraverso «La Stampa» («voglio conoscere chi ha “imbrattato” con lo spray la mia opera sul lungo Po perché disegnando il volto di Victor Jara ha aggiunto una marcia in più alla scultura») i due artisti, con non poche difficoltà di interruzioni di linea, sono riusciti a mettersi in contatto. Una telefonata transoceanica per comprendere più a fondo che cosa accomunasse il graffito di Arenas Silva e la scultura di Martinazzi. Ed è stato affascinante assistere al loro primo incontro seppur «on line» mentre scoprivano di essere così simili nell’avere avuto la stessa ispirazione ed intuizione artistica di pace, nell’esatto punto dove si trova la scultura «Frater Tuus», in Lungo Po Machiavelli. Il primo impatto

«Quando l’ho vista per la prima volta, l’opera era sporca di graffiti e tags – racconta Silva – e mi ha messo molta tristezza. Non capivo il senso di quella creazione, ma percepivo un senso di gioia per la vita. Quindi ho pensato: qui deve esserci un Victor Jara». Qualche giorno dopo (ad ottobre dell’anno scorso) Herman Patricio Arenas Silva è tornato, e ha disegnato il volto del musicista condannato a morte Pinochet con uno stampo e una bomboletta di spray bianco. Apporto spontaneo

Bruno Martinazzi era convinto che il writer avesse studiato con cura il soggetto da dipingere sulla sua scultura, che l’avesse scelto perché Victor Jara aveva combattuto per la libertà di vivere in pace, in linea con «Frater Tuus». E invece è stato un apporto spontaneo e casuale. «Ma questo rende tutto più meraviglioso – ha commentato entusiasta Bruno Martinazzi – perché significa che hai colto emotivamente il messaggio della scultura senza vedere la scritta “Dov’è Abele il fratello tuo”». Il fatto poi che si trovasse su un percorso per non vedenti gli ha fatto acquistare un fascino ulteriore. «E’ una bomba questa notizia», sorride Arenas Silva, mentre racconta la sua vita allo scultore, che gli dice per due volte: «Tu hai fatto rinascere la mia arte». Herman è nato in Cile, ha vissuto alcuni anni a Parigi, per poi trasferirsi a Torino, da maggio dell’anno scorso fino a tre settimane fa, per amore della sua fidanzata. «Purtroppo adesso sono tornato a Santiago del Cile perché non volevo restare a Torino senza un lavoro – dice -. Ho mandato decine di curriculum per essere assunto in uno studio di tatuaggi, ma nessuno mi ha preso. Di professione faccio il tatuatore, e anche attore. Adesso ho ripreso a fare il mestiere nella mia terra».

Prima di tornare in Cile, però ha colorato Torino di altri Victor Jara. Li ha disegnati in via Verdi e corso San Maurizio, alle Officine Corsare e al Cantiere Barca, in via Anglesio. «La mia missione di vita è lasciare nelle città del mondo l’immagine di Jara, che è il Che Guevara del mio Paese». La telefonata finisce con un arrivederci: «Vienimi a trovare in Cile», dice Herman. «Sarà molto più facile che sia tu a tornare a Torino».

ARTICOLO DI CRISTINA INSALACO DEL 4 FEBBRAIO 2016, LA STAMPA

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