Alla scoperta della street art

BOLOGNA

Arriveranno da Amsterdam, Parigi, New York e Roma, dalla Germania. Saranno circa 250 i «pezzi» della mostra che aprirà il 17 marzo a Palazzo Pepoli. E anche se in città (e pure fuori) si parla soltanto dei graffiti «strappati», l’esposizione voluta da Fabio Roversi Monaco, presidente di Genus Bononiae, sarà molto di più. Gli artisti, intanto: a partire da Blu e dalla «scuola bolognese», Cuoghi Corsello, Dado, Rusty, «perché -spiega Christian Omodeo, storico dell’arte ed esperto di street art, curatore della mostra insieme a Luca Ciancabilla che lo ha coinvolto nel progetto – per me era una condizione imprescindibile avere gli artisti locali per spiegare il contesto in cui Blu stesso cominciò a operare a Bologna». Quindi la star, vale a dire Banksy, ovviamente le sue opere sono tra le più attese, poi i brasiliani Os Gemeos, l’americano John Fekner e Rammellzee, da New York. Quindi tanti italiani, a partire da Tommaso Tozzi, uno dei primi writer nostrani, attivo a Firenze per tutti gli anni Ottanta. Ci saranno altre chicche, ma i curatori si tengono qualche asso nella manica. Detto degli artisti, i «pezzi»: ci saranno i controversi graffiti staccati in città, certo, ma soprattutto scritte, foto, video, installazioni, documenti, pezzi di muro veri e propri, quelli picconati e portati via da collezionisti o semplici amanti della street art in giro per il mondo. Senza regole e vincoli. E poi appunti, blocchi da disegno, interminabili elenchi di tag, quaderni, tutto quel materiale che in gergo si definisce sketch . «Ho accettato di curare questa mostra perché l’ho sentita come una sfida – spiega Omodeo per la prima volta – ci ho visto la possibilità di parlare di graffiti ma anche di un fantasma che agita questo ambiente fin dagli inizi: come portare l’estetica urbana in un contesto di galleria o museo, come mostrare al grande pubblico la street art e i graffiti che ormai si sono “istituzionalizzati”. È questo che sta accadendo a Bologna, si solleva un tema centrale per i graffiti e la street art e lo si fa con una mostra imponente: forse il più grande progetto espositivo a livello europeo di questo tipo». Per toccare con mano che cosa si vedrà, bisognerà aspettare ancora qualche settimana. I curatori comunque avrebbero pensato a un doppio binario: da un lato una sezione che presenti la storia del movimento al grande pubblico, partendo dal lettering (il lavoro sulle lettere); dall’altro la sua evoluzione più recente, quella street art figurativa di cui Banksy è uno degli interpreti più conosciuti e apprezzati. Il dibattito, a tratti anche molto aspro, che si è infiammato sulla mostra non ha scoraggiato i curatori né tantomeno gli organizzatori e finanziatori dell’operazione. Ma la «guerra» di chi considera quasi un sacrilegio staccare opere condannate a finire distrutte e metterle in un museo è destinata a proseguire. Prima di tutto in rete. Così ieri è stata Fabiola Naldi, critica d’arte conosciuta in città come una delle massime esperte di graffiti, nonché curatrice del progetto Frontier, a far rimbalzare sui social la foto postata da Ericailcane, writer di fama, di casa sotto le Due Torri: il disegno di un ratto e una scritta che non lasciano nulla all’immaginazione, in aperta polemica con la mostra di Genus Bononiae. L’artista cita «tombaroli, ladri di beni comuni, sedicenti restauratori senza scrupoli e curatori prezzolati, massoni». Chissà se ora altri vorranno prendere la parola. Ciancabilla: «Gli artisti possono dire la loro come meglio credono. Tuttavia continuo a non vedere dove sta il “peccato”: abbiamo sperimentato una tecnica vecchia di secoli su pitture murali in luoghi fatiscenti per salvarle e consegnarle ai posteri. C’è chi ci dice: bastava una foto. Sappiamo bene che in parte si perde il contesto, ma il nostro è un gesto di libertà quanto lo è quello del writer che realizza un graffito in un posto proibito». E ancora: «A Bologna la critica militante ci ha subito dato contro, pensando a una campagna a tappeto di “distacco”. Non è così, c’è molto altro. Quello che sento attorno, mi pare piuttosto un vaniloquio. Aspettiamo almeno a vederla, la mostra».

ARTICOLO DI Claudia Baccarani DEL 23 FEBBRAIO 2016, CORRIERE DI BOLOGNA

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