Un writer su due ruote

Da titolare di una nota pizzeria ad artista di strada: la storia di un giovane uomo che non si è lasciato sconggere dalla malattia e ha messo a disposizione le proprie capacità per portare «colore al mondo»

ANDREA CASILLO

Ci sono persone che nascono per creare. Andrea Casillo, perito chimico alimentare della Bergamasca e classe 1980, è una di queste. Pizzaiolo dai 14 anni e graffitaro dai 17, non lo ha fermato l’improvvisa paralisi alle gambe che da un giorno all’altro lo ha colpito nel 2005. Da allora, ha venduto la sua pizzeria aperta dopo gli studi, perché non avrebbe potuto più gestirla, e si è messo a fare l’artista di strada. Una metamorfosi spontanea che lo rivela un personaggio di grande vitalità. Dalla pizza ai graffiti… qual è il nesso? «La pizza era perlopiù un lavoro, mentre dipingere un passatempo. Però, entrambi rappresentavano una passione: la pizza era una cosa che facevo io e che mi piaceva creare, e così i gra¢ti, che nascevano per soddisfare me, ma suscitavano un appagamento negli altri». Hai iniziato ad andare in pizzeria da ragazzino, senza tralasciare gli studi. Invece, la passione per i graffiti com’è nata? «È nata a 17 anni, perché mi incuriosivano questi disegni colorati che la sera prima non c’erano e al mattino successivo sì. Sono un autodidatta e ho cominciato chiedendo al Comune l’autorizzazione per dipingere la parete di un campetto di basket». Una mattina ti svegli e le gambe non si muovono: che cos’è successo? «Sì, proprio così: quel giorno, mi sono svegliato e le gambe erano immobili. Sono stato portato in ospedale e non si riusciva a capire che cosa fosse accaduto. Io avevo in mente di andare ad aprire la pizzeria, quella sera. A tutt’oggi, si sa solo che ho avuto un’infezione al midollo spinale, ma non si sa come sia arrivata. Che non avrei più potuto camminare me lo hanno detto dopo dieci giorni». E allora? «È iniziata la riabilitazione. Passo dopo passo, ho imparato a vestirmi e a rendermi autonomo. Non guardavo a quello che non potevo più fare, ma a quello che riuscivo a fare. E quando sono uscito dall’ospedale, la prima cosa che ho fatto non è stato tornare a casa…». E dove sei andato? «A dipingere! Sono stato a fare un gra¢to su una parete con gli amici. Avevo bisogno di vedere se ero ancora in grado di dipingere, e come». Per quale motivo hai scelto di diventare un writer? «Fare la pizza con le mie mani non era più possibile. Invece, riuscivo a dipingere sulle tele, che ho iniziato a esporre con un certo successo vedendo che questa poteva diventare una professione». Che di-erenza c’è tra i writer e i graffitari? «Te lo spiego con un ricordo. Tempo fa, ero alla œera d’arte di Bergamo a dipingere un muro all’esterno e un passante ha esclamato di odiare i gra¢tari. Ecco, io ho risposto che non era un problema mio, perché mi ritengo un artista»! Sei mai stato accusato di essere uno che imbratta i muri, oppure la tua carrozzina ti ha messo al riparo da questo tipo di accuse? «Essendoci del buonismo generale, uno che dipinge in carrozzina non può essere considerato un “poco di buono”, un vandalo che rovina i muri. Allora, succede spesso che, quando mi vedono lavorare, considerano i gra¢ti una bella cosa, a prescindere da tutto…». Come writer, dovresti arrampicarti per raggiungere i punti più impensati: come fai? «Ci pensano gli amici, che mi aiutano a salire sui ponteggi. Oppure, uso degli elevatori. Al carcere di Bergamo, una volta, i detenuti mi hanno alzato di peso»! Che cosa ti rende davvero libero? «Potermi esprimere senza limiti. Quando vedo una parete vuota, sento l’istinto di riempirla di colore». E l’amore? Che ruolo ha nella tua esistenza? «Il sostegno di una persona amata è importante. Ho sposato una ragazza che conoscevo dalle elementari. Ci siamo persi e ritrovati a distanza di anni, quando avevo già perso l’uso delle gambe. Lei veniva a trovarmi da amica e, via via, è sbocciato un sentimento più profondo». i detenuti mi hanno alzato di peso»! Che cosa ti rende davvero libero? «Potermi esprimere senza limiti. Quando vedo una parete vuota, sento l’istinto di riempirla di colore». E l’amore? Che ruolo ha nella tua esistenza? «Il sostegno di una persona amata è importante. Ho sposato una ragazza che conoscevo dalle elementari. Ci siamo persi e ritrovati a distanza di anni, quando avevo già perso l’uso delle gambe. Lei veniva a trovarmi da amica e, via via, è sbocciato un sentimento più profondo». Qual è la parete che oggi vorresti adornare? «Mi piacerebbe fare qualcosa a New York, perché è lì che si è cominciato a fare arte sui muri. Ho lavorato a Los Angeles, ma New York è sempre New York». C’è qualche aspetto nell’attuale società che la tua arte può aiutare a superare? «L’aiuto sta nel portare il colore nei fatti drammatici di questi tempi. Non molto tempo fa, sono intervenuto sulla panchina di un parchetto dipingendo delle bolle e sai che cos’è successo? Sono state apprezzatissime! Il colore ci aiuta a stare meglio». Quindi, qual è il messaggio che porti al pubblico? «Un messaggio di positività. Nonostante quello che accade nella vita, bisogna sempre cercare di prendere la parte migliore e portarla avanti anche a favore degli altri».

CON TANTI AMICI Grazie al suo impegno, Andrea ha trovato molti amici, che lo aiutano anche a superare i problemi pratici legati all’attività artistica. In questa foto, è insieme ad Alex Zanardi, pilota di Formula 1 che ha subito l’amputazione delle gambe.

ARTICOLO DI Antonio Giuseppe Malafarina DEL 25 FEBBRAIO 2016, BEN ESSERE

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