LA REPUBBLICA, 15 MARZO 2016

Roversi “Gli artisti di strada ci ringrazino”

BLUE

Blu cancella le sue opere mentre il dibattito cresce tra dubbi e idee confuse

SEMPRE più color Blu elettrico il duello sulla street art “privatizzata”. «Dovrebbero ringraziarci»: Fabio Roversi Monaco, padrino della mostra più contestata del momento, rilancia. Tacciato di «landlord», di «governatore coloniale» dal collettivo d’autori Wu Ming, il presidente di Genus Bononiae si fa intervistare da l’Espresso senza diplomazie. Risparmia il graffitista che ha distrutto le proprie opere per protesta, contro la mostra «Blu è coerente col suo punto di vista, niente da dire».

FULMINA invece il collettivo di scrittori: «fantascienza, idiozie, io non sono un potere forte». Ma più che gli argomenti della replica, già noti («abbiamo salvato quelle opere dalla distruzione»), conta che, a tre giorni dall’apertura della mostra a Palazzo Pepoli, la sfida fra strada e museo non si ferma. Su Facebook l’annuncio di un «evento» per venerdì, giorno dell’inaugurazione, raccoglie duemila partecipanti ma non si capisce bene a che cosa. Sui social ci si chiede «cosa facciamo ora?» e le risposte svirgolano fra il simbolico, «riempiamo di grigio la città», e il flash mob, «entriamo nella mostra e riprendiamoci i graffiti».

Vedremo cordoni di vigilantes attorno alle opere di Blu esposte in mostra? Che poi, in realtà, sono solo gli scalpi di quelle opere, epidermidi scuoiate e trasferite su altri supporti, ormai non più ruggenti delle pelli di tigre che i cacciatori mettevano davanti al caminetto. In tutto sei o sette pezzi, divisi in tre serie, in una esposizione che conta centinaia di esemplari dall’acquisizione meno controversa: un trofeo di caccia di cui forse questa mostra poteva fare a meno, ma che le stanno assicurando una visibilità che parecchi illustri curatori le invidiano.

Paradosso in un mare di paradossi, confusione sotto il cielo e situazione eccellente. Un artista, Blu, che distruggendo il proprio lavoro di fatto ne crea un altro, un murale grigio monocromo come il quadrato nero di Malevic, già diventato oggetto di culto e pellegrinaggi fotografici. Un sindaco, Virginio Merola, che rimpiange a calde ma tardive lacrime la distruzione di opere che, secondo i regolamenti emanati dal suo stesso Comune, avrebbe dovuto far cancellare e punire con multe «da euro 50 a euro 500 salvo sanzioni penali». Un curatore, Christian Omodeo, che difende l’acquisizione di quei graffiti, che ora appartengono a un’associazione privata, sia pure senza fini di lucro, dopo aver scritto, poco più di tre anni fa, sulla rivista online Ziguline, in un articolo contro «i ladri di street art», che le opere di strada «non devono poter diventare proprietà privata senza il consenso espresso dell’artista che le ha invece offerte allo spazio pubblico». Per non parlare dei tre militanti denunciati perché, esattamente come i bravi cittadini dei comitati civici, stavano cancellando i graffiti dal muro.

La si può pensare come la si vuole, sul gesto auto-iconoclasta di Blu: che abbia sfidato come un Robin Hood il potere del museo, che abbia agito soprattutto per tutelare la sua reputazione e la sua carriera, che abbia fatto un dispetto «al popolo» a cui aveva donato le sue opere, o addirittura (la tesi complottista non manca mai) che sia una commedia di mutua convenienza… Ma da quanto tempo, e non solo a Bologna, non si assisteva a una discussione così fertile e spiazzante sulla definizione e la funzione dell’arte, sul ruolo degli attori nella scena dell’arte, sui rapporti fra arte, politica, poteri, società, media, consenso, dissenso?

MICHELE SMARGIASSI

L’assessore Mezzetti “Ora il museo della street art in Emilia”

A PAGINA XI «SE non è stato avvisato Blu è stato fatto un errore. Ma è poi bene discutere se le opere che sono nate per essere per strada debbano essere portate per forza in un museo». Così il sindaco Virginio Merola ieri ha commentato la querelle tra arte e politica che sta opponendo in città i writer, Blu in primis che ha cancellato le sue opere per protesta e la mostra organizzata da Genus Bononiae, creatura di Fabio Roversi Monaco. La mostra tanto contestata aprirà i battenti venerdì e il mondo dell’arte underground in queste ore organizza eventi e si interroga su come reagire. Mentre le istituzioni cercano di rispondere alla protesta. Dall’assessore regionale, Massimo Mezzetti, è arrivata la proposta di un centro di documentazione multimediale sulla street art da realizzare a Bologna. E il sindaco ha preso la palla al balzo: «Bella idea». Perché secondo Merola il “muro contro muro” (è proprio il caso di dirlo) «non risolve nulla e fa solo del male». «È bene discutere sul fatto che chi realizza opere di questo tipo si aspetti che da un momento all’altro vengano abbattute dallo sviluppo normale della città – ha detto il primo cittadino – è un dibattito un po’ inadeguato quello che si sta sviluppando. Sono preoccupato se perdiamo tutti il buon senso. Risolvere una situazione controversa annullando le proprie opere d’arte non mi sembra il massimo. Non ho il compito di schierarmi ma di recuperare un dialogo».

E.CAP.

Caccia ai graffiti sui muri “Ammessi solo negli spazi”

CACCIA

CACCIA a scritte e graffiti sui muri di Firenze. In sei mesi di ricognizioni i vigili urbani ne hanno contati oltre tremila, di cui mille nel centro storico. E hanno individuato singoli writers particolarmente e gruppi emergenti. Sei le persone denunciate per danneggiamento aggravato, che ora rischiano fino a tre anni di carcere. Il consiglio comunale sta preparando un regolamento per dedicare spazi appositi agli artisti di strada. Ma chi imbratta i muri sarà cancellato. Ozmo, famoso artista di strada, commenta l’operazione.

«Anch’io ho cominciato imbrattando i muri di Firenze. Ma scritte e disegni non sono la stessa cosa, le cose vanno valutate caso per caso. Bisogna partire dal contesto, però: libertà e orizzontalità sono il punto di forza della street art». Ozmo, nato a Pontedera nel ’75, è uno dei più famosi artisti di strada italiani.

Nel quartiere di Shoreditch, a Londra, le sue opere sono accanto a quelle di Banksy e da quattro anni sulla terrazza del Museo di Arte Contemporanea di Roma un wallpainting, “In art we trust”, che rappresenta la piramide del capitalismo, con il denaro sul vertice e i lavoratori schiacciati nella base che reggono tutto il peso, fa parte della collezione permanente.

Ozmo, cosa pensa dell’operazione sui muri di Firenze? «Ci sono scritte, graffiti, disegni, che possono essere belli o brutti, in questo campo generalizzare è impossibile. Street art è tutto, lo è Banksy e può esserlo un diciassettenne che compra una bomboletta spray e fa una scritta sul muro. Poi bisogna distinguere come riconoscere cosa chiamare arte».

Esiste un criterio? «Purtroppo ne esiste solo uno ed è molto brutale. Arte è ciò che ha una quotazione, quello che vale sul mercato, che la gente vuole comprare. Il mio insegnante di estetica all’Accademia di Belle arti di Firenze non sarebbe d’accordo con questa definizione ma ho imparato purtroppo che le cose stanno così». Quindi fa il Comune a cancellare tutto quello che trova sui muri? «Non ho detto questo. Faccio una provocazione: consiglio a Palazzo Vecchio di staccare i disegni piuttosto che coprirli, magari tra qualche anno potrebbero valere tanti soldi, al punto di volerli esporre in un museo come accade per Blu a Bologna». Bologna e Firenze seguono strade diverse. Strano? «I parametri che tengono in piedi la distinzione tra vandalismo e arte, ripeto, è la quotazione artistica. Non a caso le opere di Banksy le staccano dai muri per venderle su ebay a duecentomila sterline». A Bologna Blu ha cancellato i suoi murales.

«Blu è entrato nel museo perché il Guardian lo ha messo tra i dieci artisti migliori del mondo. Ma lui è un artista politico, questa vicenda tocca corde delicate in una città come Bologna dove Blu lavora esclusivamente negli spazi sociali e le case occupate e non vuole fare commercio di se stesso nella gallerie. Una storia particolare, insomma». Anche a Firenze un artista di strada, Exit, sta disegnando sulle pareti degli alloggi occupati dal Movimento di lotta per la casa. Ma le su figure stilizzate appese a palloncini e cuori rossi sono considerate deturpanti dai vigili urbani. Che ne pensa? «Partiamo dal presupposto che la street art in generale si muove sul terreno dell’illegalità. Chi scrive o dipinge sui muri di palazzi privati o edifici pubblici sa che le sue opere possono essere cancellate il giorno dopo. Ma ci sono creazioni che, come ho già detto, poi diventano arte. Altre no, ovviamente. Exit ha fatto centinaia di disegni ed è possibile, persino prevedibile, che qualcuno verrà cancellato. A meno che un’opera non sia stata realizzata in uno spazio concordato, in piena libertà e con il consenso delle istituzioni. Non bisogna però perdere di vista l’operazione culturale che sta dietro a tutto questo e il fermento che sta sotto al lavoro dei writers “illegali”. Le scritte spesso sono solo la punta di un iceberg e questo è il valore dell’opera. C’è un aspetto che non viene mai considerato da vigili e autorità ed è la motivazione che spinge qualcuno a voler diventare un  artista di strada.

A volte un ragazzo lo fa per rompere le palle o per il desiderio di danneggiare la proprietà privata oppure semplicemente per affermare la propria identità. O per segnare quell’angolo di strada che forse è la strada di casa sua e in qualche modo gli appartiene. Per me è molto più inquinante un megacartellone pubblicitario. Ma per quello si paga la tassa di affissione, giusto? E allora è tutto legale. E così va bene se sui muri c’è il culo di Belen largo sei metri per cinque».

Caccia ai graffiti , arriva il regolamento

Ammessi solo in spazi destinati, per gli altri sarà deturpamento

PIAZZA pulita sui muri del centro. I vigili urbani vanno a caccia di scritti e disegni considerati deturpanti, segnalano dove siano in modo da far intervenire a ripulire il Quadrifoglio o le squadre volontarie degli Angeli del Bello e poi pattugliano le zone delle pareti risanate per evitare che i graffitari le riempiano di nuovo con le loro creazioni, che a volte arrivano fino a 20 metri di altezza e coprono intere facciate di palazzi. «Abbiamo imparato come fare dai nostri colleghi di Milano», spiega la polizia municipale guidata dal comandante Marco Andrea Seniga. «Prima abbiamo fatto un censimento delle zone invase dai graffiti e poi abbiamo realizzato un software per aggiornare la situazione ogni sei mesi.

Le ricognizioni sono continue e ci aiutano molto sia i social network che diffondo immagini dei muri taggati sia le segnalazioni dei cittadini. L’autore della scritta sulla chiesa di Sant’Ambrogio ad esempio è stato individuato subito». In sei mesi sono stati selezionate 150 “firme” di writers, per la maggior parte ripetute sui muri in diverse forme e dimensioni, 17 crew (gruppi di artisti di starda) e oltre 3.000 graffiti, di cui mille nel cento storico.

Sei ragazzi sono stati denunciati a piede libero per danneggiamento aggravato alla procura. Rischiano fino a 3 anni di carcere e le loro case sono state perquisite: sono stati portati via dalle camere da letto disegni, computer e altro materiale. Uno di questi gruppi, identificato dal tag “639″ è considerato il talento emergente diventato punto di riferimento per molti adolescenti. Gli assessori di Palazzo Vecchio Federico Gianassi e Alessia Bettini distinguono: «Una cosa è imbrattare i muri e un’altra è fare street art. Il consiglio comunale sta preparando un regolamento per destinare agli artisti spazi adatti in cui poter disegnare in piena e totale libertà». www.ozmo.it PER SAPERNE DI PIÙ

ARTICOLI DI SIMONA POLI

 

 

 

 

Share This Post

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>