Quel vizio antico di imbrattare i muri

FIRENZE

Ci risiamo. La scolaresca (questa volta, sembra, d’Oltralpe) ha colpito ancora. E ancora, per «atto dovuto» l’evento diventa «notizia di reato». E’qualcosa di plurisecolare, di inarrestabile, che si colloca fra il vandalismo e la fragilità psicologica: materia da pubblica sicurezza, prudenza conservativa e cure psicologiche quando non psichiatriche. È della settimana scorsa l’episodio delle scritte sull’Apostolica, la campana grande di bronzo, fusa ai primi del Cinquecento, pesante cinquemila libbre, pari a diciassette quintali (più di una tonnellata e mezzo), appoggiata sul pavimento della cella campanaria. Poi, di nuovo, ad uno dei tormentati gruppi della Loggia dei Lanzi. Nel Campanile di Giotto è toccato al campanone fuori servizio permanente effettivo, perchè, al momento raggiungibile. E siccome vi erano già firme e piccole scritte decennali, ragazzi e ragazze hanno trovato irresistibile apporvi ancora qualcosa. Ciò mentre del personale dell’Opera, in altra parte, presentava ai giornalisti una interessante proposta innovativa, proprio per writers e graffitisti, che ha interessato il mondo intero: una «lavagna elettronica» su cui sfogarsi a scrivere e rimanere nella storia: un battesimo di fuoco! Sul gruppo scultoreo della Loggia invece, la solita irresponsabile arrampicata, spesso foriera di gravi fratture. Fin qui la cronaca, ancorché spiacevole. Ma l’occasione deve tornare a far riflettere. Ora, se è vero che l’irrefrenabile voglia di scriver sui muri affonda nell’antica Roma e sui muri di Pompei, è anche vero che una nuova stagione di valutazione si è aperta con i sostenitori dei «graffitari» che da New York degli anni Ottanta si è diffusa anche sul vecchio continente e nel nostro Paese. I «writher» e la loro «street art» incedono. Dunque, fin dai tempi di Augusto i muri eran supporto di campagne elettorali, di espressioni volgari, di insinuazioni sulla fedeltà di questa o di quella, di frasi gentili e persino poesie (come sono riapparse negli ultimi tempi nell’Oltrarno). «Il nome degli stolti – mi pare scrivesse il nostro Gabriele D’Annunzio, principe di Montenevoso – è scritto su tutti i muri dei monumenti»; e così navighiamo fra la condanna e la tolleranza permissiva. Una cosa è certa però: difficile rubricare come ugual reato di «danneggiamento al patrimonio artistico» una scritta a gessetto o a pennarello e le mine di Sabratha. Forse, distinguere fra barbarie e cattiva educazione può avere ancora un senso. E così ha da valere per i «murales»: finché si opera nelle fabbriche dismesse è un conto, ma quando si imbrattano i muri della città storica è un’altra cosa! Dunque: reato, perdonabile leggerezza, testimonianza di inciviltà o street art? Il dibattito procede serrato.Anche se resta una riflessione di fondo: educazione e civiltà sembrano davvero smarrire quel buon senso a cui, nonostante tutto, continuiamo a credere.

FRANCESCO GURRIERI

Share This Post

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>