IL GIORNO, 30 MARZO 2016

COMO

Vernice rossa per ricordare il colpo sparato al giovanissimo Rumesh

PER TERRA sul marciapiede che corre di fianco a via per Lecco, proprio di fronte al muro dove Rumesh e i suoi quattro amici vennero trascinati per essere ispezionati dalla squadra anti-writers, qualcuno ha tracciato un segno con della vernice rossa. Come una vecchia cicatrice che torna a sanguinare, o una brutta storia che non si riesce o si vuole dimenticare. Non c’è il protagonista, Rumesh Rajgama Achrige, che da tempo è tornato in Sri Lanka con tutta la sua famiglia a vivere come può dopo che un proiettile calibro nove gli trapassato il cranio, dall’orecchio alla fronte, scampato alla morte per miracolo dopo che i medici già si preparavano all’espianto dei suoi organi.

NON CI SONO rappresentanti del mondo delle istituzioni, se si esclude il consigliere comunale del Pd, Guido Rovi, che però è intervenuto in forma privata. Non ci sono fiori e soprattutto non ci sono lacrime, ma solo la rabbia, anche quella contenuta, di una quarantina di persone, la maggior parte ragazzi, che ieri pomeriggio a dieci anni di distanza hanno voluto ricordare, almeno loro, che «Como non dimentica». «Libera espressione contro la repressione», recita uno degli striscioni che hanno esposto, l’altro invece è dedicato a Rumesh. Appartengono all’area antagonista, ammesso che la definizione abbia ancora un senso nell’Italia di Renzi.

ALCUNI di loro probabilmente sono writers anche se le bombolette almeno ieri le hanno tenute a posto, qualcun altro bazzica nei centri sociali, quasi tutti sono giovani o giovanissimi e la storia di Rumesh nella migliore delle ipotesi l’hanno sentita raccontare dai fratelli maggiori o letta nelle cronache dei giornali dell’epoca. «Hanno sparato a Rumesh non perché era un writer, ma perché era un ragazzo e nessuno a distanza di tanti anni ha pagato – recita un ragazzo afferrando un megafono, ma la sua voce è sovrastata dal rumore motori delle auto in coda – Non è cambiato nulla in questa città negli ultimi dieci anni. Como è una città dormiente e indifferente a tutto ciò che accade, piena di telecamere che sono utilizzate come strumento di controllo e repressione sociale». Rumesh per loro è un simbolo, come «Aldo Bianzino, Carlo Giuliani, Giuseppe Uva, Stefano Cucchi, Gabriele Sandri, Federico Aldrovandi e tutti gli altri morti per mano dello Stato». Slogan e parole che sembrano cadere nel vuoto, nella migliore delle ipotesi Como sembra voler dimenticare questa brutta storia, nella peggiore non importa più a nessuno o quasi. A dieci anni di distanza Rumesh continua a essere una vittima, da ieri anche dell’indifferenza.

Coinvolgere i writers Battaglia persa

DIECI ANNI FA, come oggi, il malessere dei giovani in città continua a correre sui muri. Attraverso le tag più che con i murales, che abbondano sulle serrande e nei sottopassi, così come sulle facciate dei palazzi della Città Murata. Non è bastato il cambio di amministrazione e lo smantellamento della squadra anti-writers, chilometri di rabbia e di vernice continuano a dirci che qualcosa non va. Se ne sono accorti i volontari di «Per Como Pulita» che armati di spugne e tanto olio di gomito negli ultimi anni hanno speso i loro fine settimana a ripulire muri e facciate: non facevano in tempo a finire che qualcuno si era già rimesso a scrivere. Senza successo anche l’iniziativa del sindaco Mario Lucini che un paio di anni fa aveva addirittura pensato a una sorta di albo dei writers. In pratica si invitavano i ragazzi a iscriversi a un elenco pubblico, disponibile in Comune, e presentare i loro progetti di murales. Una commissione si sarebbe impegnata ad esaminarli e concedere loro muri liberi in periferia e nella zona industriale. L’idea sembrava buona, ma alla fine non ha aderito nessuno. Segno che la rabbia e la voglia protesta dei ragazzi sono difficili da incanalare.

ROBERTO CANALI

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